Il “caro prezzi” mette a rischio il Parmigiano

Il caro-prezzi arriva ad insidiare una delle dop italiane più influenti. 

“Si rischia di non produrre i quantitativi di latte richiesti, per la trasformazione in formaggio Parmigiano Reggiano, dalla programmazione 2023/2024 del Consorzio – lancia l’allarme il presidente della sezione lattiero-casearia di Confagricoltura Emilia Romagna e vicepresidente di Confagricoltura Parma Roberto Gelfi –. Infatti, a causa dei rincari, l’allevatore potrebbe decidere di ridurre il numero di capi e, di conseguenza, la produzione complessiva di latte”.

Secondo l’elaborazione di Confagricoltura Emilia Romagna, i costi di produzione del latte per il Parmigiano Reggiano hanno subito un balzo del 40-50% in più e quelli della sua trasformazione del 35-45% rispetto all’anno precedente. 

“Inoltre, c’è il serio rischio – aggiunge Gelfi, nei giorni scorsi intervistato sull’argomento dai principali media nazionali- che le aziende zootecniche non possiedano abbastanza liquidità per sostenere questi aumenti e che, quindi, scelgano di vendere subito parte del latte crudo sul mercato spot, destinandolo ad altri usi alimentari e non alla trasformazione in Parmigiano Reggiano”. 

Nelle stalle del circuito di produzione della Dop la spesa per l’energia elettrica, stima Confagricoltura Emilia Romagna, è passata mensilmente da 24 a 76 euro per capo nel periodo 2021-2022, il gasolio agricolo da 15 a 35 euro/capo e l’erba medica per l’alimentazione del bestiame da 56 a 96 euro/capo.

“Ulteriore fonte di preoccupazione – aggiunge Gelfi – è l’entità dell’anticipazione finanziaria alla quale è chiamato il conferente latte della cooperativa in cui è socio, considerato il probabile aumento dei tassi di interesse, per la nuova politica restrittiva sul costo del denaro”.

Si acuisce intanto la crisi del latte alimentare per il consumo diretto o per altre produzioni lattiero-casearie. Il presidente di Confagricoltura Emilia Romagna, Marcello Bonvicini, sottolinea le difficoltà che toccano da vicino i produttori: “Il prezzo del latte crudo alla stalla è sottostimato da decenni e adesso – dice – con l’incasso di un mese l’allevatore ripaga a malapena il mangime e il carburante, restano fuori tutte le altre spese. Poi non si capisce perché permanga una sostanziale differenza tra le quotazioni stabilite negli ‘accordi quadro’ – attualmente sui 60 centesimi circa al litro Iva inclusa – e quelle del libero mercato che si attestano ben al di sopra, a 70 centesimi circa al litro Iva inclusa. Ovvio che sopravvivere a questa dura crisi diventa impossibile – conclude Bonvicini – soprattutto per coloro che sono vincolati da un prezzo fisso concordato”.

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