Crisi idrica: è già allarme per l’irrigazione dei campi

L’assenza di neve in montagna. Il Po in secca, quasi come d’estate. Le temperature elevate con il raggiungimento di quasi venti gradi già a febbraio. E, ora, tanta preoccupazione in vista dell’avvio della stagione irrigua per l’agricoltura. Questo lo scenario delle ultime settimane. 

“Temiamo che la crisi dello stato idrologico che perdura ormai da diverso tempo, aggravata dalla forte carenza-di precipitazioni nevose, possa rendere piuttosto difficile la stagione primaverile all’agricoltura e all’habitat dell’intero distretto padano”: è l’allarme lanciato, nei giorni scorsi, dall’Autorità distrettuale del fiume Po e dal segretario generale Meuccio Berselli a causa del protrarsi della situazione di sofferenza del Grande Fiume, considerata la conseguenza di un inverno particolarmente avaro di precipitazioni. 

Il totale della riserva idrica invasata nei grandi laghi, negli invasi artificiali e sottoforma di manto nevoso risulta inferiore alla media del periodo 2006-2020 di -51%; ma un’anomalia più marcata è quella del fattore denominato Swe (acronimo di Snow water equivalent, cioè l’entità del manto nevoso) che, su tutto l’arco alpino, è prossimo ai minimi (-55% rispetto alle medie), con punte in alcune zone che toccano -80%. 

La condizione di magra invernale del fiume Po persiste pesantemente, con una diminuzione del -25% sulle portate mensili di gennaio. Alla sezione di chiusura del bacino di Pontelagoscuro (Ferrara) il valore puntale di portata rilevato, tra fine gennaio ed inizio febbraio, è stato di 765 m3/s, -32% sul valore di portata medio; mentre la sezione di Piacenza è risultata essere quella con valori maggiormente negativi, con una portata di 369 m3/s, prossima alle minime mensili.

Preoccupanti anche i dati diffusi, ad inizio febbraio, dal Consorzio di bonifica parmense: i sottobacini si presentano in sofferenza ad Ongina (derivazione dal fiume Po) dove il prelievo avviene a 25.50 m.s.l., si è già prossimi al limite di 24.40 m.s.l, (una volta raggiunta quella soglia non sarà possibile derivare dal Grande Fiume) e anche a Ramiola (derivazione dal Taro) e Guardasone (derivazione dall’Enza), in cui la condizione di magra presenta portate vicine al Dmv (Deflusso minimo vitale) che, solitamente, scatta nei momenti di maggiore siccità, cioè attorno a luglio/agosto.

“I rischi sono tangibili – commenta Mario Marini, presidente di Confagricoltura Parma -. In montagna, nemmeno ad alte quote, è presente la neve. Un dato, evidente, di come lo scenario sia altamente preoccupante per i prossimi mesi quando l’attività agricola entrerà nel vivo con il trapianto delle piantine del pomodoro da industria (4.500 ettari nel Parmense) e la semina delle barbabietole da zucchero e del mais ma, come già accaduto negli anni passati, rischiano di andare in sofferenza anche il grano, tenero e duro, i medicai e le colture foraggere destinate all’alimentazione animale e alla filiera del Parmigiano Reggiano. Tutti questi allarmi, ripetuti, devono indurre ad una riflessione. La prima, fondamentale, è che la siccità ed il cambiamento climatico non sono un problema solo dell’agricoltura, ma dell’intera società. E che, pertanto, servono investimenti strutturali e scelte coraggiose e strategiche. Pensando al Parmense non si possono più rimandare progettazioni come quelle degli invasi plurimi nella zona di Medesano o la realizzazione della diga di Vetto. Provvedimenti che, in sostanza, consentirebbero di stoccare acqua, quando è presente, per poi utilizzarla nei mesi di siccità e crisi idrica. Noi agricoltori stiamo facendo la nostra parte con scelte innovative per un’irrigazione di precisione e senza sprechi tanto che il consumo idrico da parte degli agricoltori è stato ridotto del 30% negli ultimi decenni. Ma questa battaglia va combattuta con il supporto di tutti, a partire dalle istituzioni, dando valore alle risorse in arrivo con il Pnrr. Nel nostro Paese solo l’11% dell’acqua piovana viene trattenuto. È necessario rinnovare i sistemi irrigui e sanare la rete dell’acqua potabile che, oggi in Italia, perde il 42% tra quella immessa e quella erogata”. 

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