Sentenza Tribunale di Bologna – Lavoro a termine in agricoltura assunzioni per fasi lavorative

Interessante pronuncia della sezione lavoro del  Tribunale di Bologna (giudice dottor Pucci)  in materia di lavoro agricolo a tempo determinato (sentenza n. 246/2024 del 6 marzo u.s.).

 

Giova premettere un breve esame della fattispecie portata all’esame del Tribunale. La ricorrente conveniva in giudizio l’azienda da un lato contestando la pluralità di avviamenti nell’arco di tre anni quale operaia avventizia (cioè a tempo determinato) pur avendo sempre svolto, presso i magazzini aziendali,  le stesse mansioni di “cernitrice” per tutto l’anno lavorando diverse tipologie di frutta in ragione delle diverse stagionalità di ogni prodotto; in relazione a ciò eccepiva relativamente  alla pluralità di contratti a termine la illegittimità della clausola di durata vantando conseguentemente il diritto alla conversione e/o costituzione di un unico e continuativo rapporto di lavoro subordinato, a tempo pieno ed indeterminato. In sostanza la ricorrente intendeva sostanzialmente ricondurre il lavoro a termine agricolo alle regole previste per gli altri settori.

Il lavoro a termine in agricoltura è viceversa sottratto alle regole ordinarie sui contratti a tempo determinato come si rileva dal D. Lgs. n. 368/2001 (art. 10) e da ultimo dal D. Lgs n. 81/2015 (art. 29), cosicché la relativa disciplina è integralmente demandata alla contrattazione collettiva. La contrattazione collettiva applicabile (Art. 23) prevede la possibilità di trasformazione di un rapporto di lavoro a termine in tempo indeterminato solamente nell’ipotesi di superamento delle 180 giornate ed ove non si sia stipulato un contratto a termine ai sensi dell’Art. 21 lett. b) o c).

Sul punto, si segnala, poiché confermativa del dato normativo, una datata  pronuncia del Tribunale di Bologna del 4/12/2013 (giudice dottor Marchesini)  con la quale veniva respinta la domanda del lavoratore – per inapplicabilità dell’Art. 23 – volta alla declaratoria di illegittimità di reiterati contratti a tempo determinato.

L’odierna controversia in verità presentava un profilo di assoluta novità in rapporto alla tesi della ricorrente che tendeva a contestare la natura stagionale delle attività di confezionamento  dei prodotti frutticoli  in magazzino ritenendo tali mansioni non corrispondenti a fasi lavorative (la modalità tipica di assunzione in agricoltura) e considerando l’attività lavorativa svolta dalla ricorrente non di carattere stagionale o  saltuario in considerazione del carattere continuativo delle prestazioni svolte dalla ricorrente durante tutto l’anno.

Decisiva sul punto appare la disamina dell’art. 21 del CCNL operai agricoli che chiarisce la distinzione tra operai a tempo determinato e indeterminato.

TESTO Art. 21 CCNL operai agricoli

 

Sono operai a tempo indeterminato i lavoratori assunti con rapporto di lavoro senza prefissione di termine, che prestano la loro opera alle dipendenze di un’impresa agricola singola o associata.

Detti operai sono retribuiti con paga erogata mensilmente per tutta la durata del rapporto di lavoro con esclusione delle sole giornate non lavorate per assenze volontarie, malattia od infortunio e per le giornate di sospensione dal lavoro per le quali è stato chiesto ed ottenuto dal datore di lavoro l’intervento della Cassa integrazione salari di cui alla legge n. 457 del 72.

Sono operai a tempo determinato:

a) gli operai che sono assunti con rapporto individuale di lavoro a tempo determinato, quali, ad esempio, quelli assunti per la esecuzione di lavori di breve durata, stagionali o a carattere saltuario o assunti per fase lavorativa o per la sostituzione di operai assenti per i quali sussista il diritto alla conservazione del posto;

b) gli operai a tempo determinato che sono assunti per l’esecuzione di più lavori stagionali e/o per più fasi lavorative nell’anno, ai quali l’azienda è comunque tenuta a garantire un numero di giornate di occupazione superiore a 100 annue. In tal caso nel contratto individuale di cui all’art. 14, o nelle convenzioni di cui all’art. 28, debbono essere indicati i periodi presumibili di impiego, per i quali l’operaio garantisce la sua disponibilità pena la perdita del posto di lavoro nelle fasi successive e della garanzia occupazionale di cui sopra, salvo comprovati casi di impedimento oggettivo;

c) gli operai a tempo determinato assunti originariamente con contratto di lavoro a termine di durata superiore a 180 giornate di effettivo lavoro, da svolgersi nell’ambito di un unico rapporto continuativo.

Accolte per inciso le tesi difensive dell’azienda (una cooperativa di agricoltori) con le quali veniva evidenziato come tanto per il CCNL quanto per il CPL provinciale, il concetto di “fase lavorativa” sia da intendere non solamente con riferimento al ciclo produttivo di una data coltura ma in modo ampio e flessibile.

La fase lavorativa non è limitata alle operazioni nominate nel CCNL ( Art. 13: “per fase lavorativa […] (es. aratura, potatura, raccolta di prodotti, etc.)” indicate a mero titolo di esempio ma va interpretata con riferimento a tutte le ulteriori operazioni strettamente connesse a quelle tipicamente “colturali” quali ad esempio la cernita, la conservazione, il confezionamento, poiché connesse.

Diversamente ragionando si attuerebbe un indebito irrigidimento di tutto il settore, contrario anche alla lettera contrattuale nella quale si citano esemplificativamente  fasi lavorative  (aratura, potatura, raccolta) non sempre sono identificabili in tutte le tipologie di colture.

Basti pensare alle aziende agricole che svolgono attività al di fuori del terreno tradizionalmente inteso (come chi coltiva in serra) o addirittura in assenza totale di terreno, come tutto il comparto delle colture idroponiche, quali il pomodoro, dove il terreno proprio non c’è poiché le piante crescono su strutture aeree e affondano le radici su piccole zolle di lana-roccia imbibite da un flusso continuo di acqua e nutrienti.

Senza contare di chi coltiva tramite floating, cioè enormi vasche in cui le piante sono immerse in acqua e liquidi nutrienti. In questi casi il terreno non è presente sicché una attività come l’aratura, citata appunto come esempio dal CCNL e dal CPL, non può essere svolta;  esistono, al contrario, una serie di operazioni o fasi lavorative del tutto diverse ed innovative, che caratterizzano tali specifiche metodologie di coltivazione per le quali non si potrà negare l’esistenza di “fasi lavorative” anche nell’ambito di queste coltivazioni, dalla messa in situ della coltura, alla sua coltivazione, alla raccolta ed allo svolgimento di tutte le ulteriori attività connesse che rappresentano la fase lavorativa “terminale” del ciclo produttivo agricolo, quali appunto: la cernita del prodotto, le attività di immagazzinamento e conservazione, ed il confezionamento.

La sentenza del giudice felsineo reputa che le fasi lavorative relative lato senso al “confezionamento” dei prodotti frutticoli in magazzino possano bene essere qualificate  come agricole, in quanto direttamente collegate ai conferimenti dei prodotti degli agricoltori, dei loro tempi di raccolta, anche perché a seconda della varietà frutticola consegnata in magazzino vi è la correlata attività per il confezionamento della frutta, che si compone comunque di varie fasi (ricezione dei prodotti, cernita del prodotto, al suo confezionamento).

 

La stessa  periodicità del conferimento in magazzino, rispetto ai vari tipi di frutta,  consente di valutare positivamente  la stagionalità delle lavorazioni. Secondo il Tribunale “…. trattandosi di prodotti agricoli, la stagionalità non può essere perfettamente calibrata e uniforme, ma dipendente dalle numerose varianti della coltivazione, della maturazione e della raccolta. Sono queste le caratteristiche che rendono la disciplina del lavoro agricolo così peculiare e meritevole di un trattamento meno formalistico dal punto di vista della contrattazione lavoristica”.

Secondo il Tribunale le lavorazioni della ricorrente poi sono perfettamente riconducibili alle fasi lavorative previste contrattualmente poiché di andamento non lineare, per prodotti diversi, con riduzioni di attività e picchi tipici della stagionalità e dell’avviamento per fase; per il Giudice in sostanza “Considerando che il contratto della ricorrente era proprio quello articolato su più fasi di lavorazione ai sensi della lett. b) dell’art. 21 CCNL di settore, si rientra sempre nel perimetro di legittimità del rapporto. Dunque, non sussistono le caratteristiche necessarie per ritenere che si possa ricondurre l’odierna fattispecie in quelle ipotesi in cui vi sia una stabile e continuativa adibizione del dipendente a mansioni svincolate dall’attività agricola”.

Sul punto si segnala una recente sentenza della Cassazione secondo cui : «In tema di contratti di lavoro a tempo determinato, non è, di per sé, qualificabile come attività agricola stagionale, ai sensi degli artt. 5, comma 4-ter, del d.lgs. n. 368 del 2001 e 21, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015, quella, idonea a perpetuarsi nel tempo, che non dipenda dall’ordinaria scansione temporale delle comuni incombenze attinenti alla detta attività agricola; ne consegue che i lavoratori addetti stabilmente (ed oltre i tempi indicati nella normativa nazionale in tema di contratti a tempo determinato) alle attività imprenditoriali connesse alle necessità operative che proseguono per tutto il corso dell’anno – come quelle di custodia, riparazione e manutenzione degli impianti e dei macchinari, e, in genere, di preparazione alla nuova stagione piena – devono essere dipendenti a tempo indeterminato e non lavoratori stagionali, anche quando l’attività produttiva come tale, considerata nel suo complesso, abbia carattere stagionale»)……” (Cassazione civile, sez. lav., 11/12/2023, n. 34561).

(M. Mazzanti)