Il convivente di fatto rientra nella nozione di “familiare” di cui all’art. 230-bis c.c..
Il lavoro familiare è componente essenziale e qualifica inscindibilmente il mondo rurale da sempre; tetto, mensa, solidarietà connaturavano la comunione tacita familiare (art. 2140 Cod. civ. oggi abrogato), più modernamente attualmente le svariate forme dell’impresa familiare e le società semplici agricole tendono ad assicurare la dignità del lavoro e dell’apporto familiare; il lavoro del familiare può strutturarsi nelle forme della subordinazione, così come può essere reso in via occasionale ed avulso dalla organizzazione aziendale in senso stretto.
Nel campo agricolo il lavoro familiare ha rilevanza dal punto di vista civile (artt. 230 bis e ter cod. civ.); norme specifiche sono previste per l’impresa familiare nell’ambito della legge n. 203/1982 (artt. 48 e 49 legge n. 203/1982), importanti poi sono i riflessi nell’ambito previdenziale (gestione INPS lavoratori autonomi CD).
Secondo le regole codicistiche il familiare che (sempreché non sussistano tipizzazioni della prestazione) presta continuativamente la propria attività lavorativa nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto, secondo e proporzionatamente all’apporto prestato, al mantenimento, partecipando agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda ed all’avviamento.
La norma considera familiari il coniuge, i parenti entro il terzo grado; gli affini entro il secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo. Dopo la riforma Cirinna’ del 2016 (art. 230 ter cod. civ., art. 1, comma 46, legge 20 maggio 2016, n. 76) viene considerata anche la figura del convivente che svolga stabilmente la propria attività nell’ambito dell’impresa dell’altro convivente; anche al convivente così enucleato compete, in proporzione al lavoro svolto, la partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, all’avviamento.
Le norme riassunte rappresentano l’evoluzione lenta del sistema in rapporto alle mutate sensibilità sociali in materia di convivenza e della evoluzione giurisprudenziale, sia di legittimità che costituzionale, nei confronti del convivente di fatto o more uxorio. Importante in specie l’evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale che sempre più nel tempo ha enfatizzato la rilevanza della convivenza more uxorio nelle ipotesi di possibile la lesione dei diritti fondamentali della persona, come il diritto sociale all’abitazione, sentenze n. 559 del 1986 e n. 404 del 1988) o il diritto alla salute (sentenza n. 213 del 2016).
La Corte Costituzionale, con una recente pronuncia, interviene nuovamente sull’argomento (sentenza n. 148, depositata del 25 luglio 2024,) stabilendo l’illegittimità costituzionale dell’articolo 230-bis, terzo comma cod. civ., nella parte in cui non prevede come familiare – oltre al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo – anche il convivente di fatto e, parimenti come impresa familiare, quella cui collabora anche il convivente di fatto. Parallelamente la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-ter cod. civ., in relazione al mancato riconoscimento – in capo al convivente di fatto, della prestazione lavorativa svolta nell’ambito della famiglia – del diritto al mantenimentoed alla partecipazione alla gestione dell’impresa familiare. La Corte Costituzionale – pur ribadendo che allo stato esistono sostanziali differenze tra la disciplina positiva relativa alla familia di fatto rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio – in considerazione della necessità di affermare e perseguire la tutela dei diritti fondamentali ha rilevato che tali diritti – diritto al lavoro ed alla giusta retribuzione – debbono essere riconosciuti a tutti senza alcuna distinzione in quanto strumentali alla realizzazione concreta della dignità della persona sia a livello individuale (come soggetto singolo) che come componente di una comunità come è quella familiare.
La Consulta reputa quindi del tutto immotivata la rilevata carenza, nell’art. 230-bis cod.civ., dell’ inclusione del convivente di fatto nell’impresa familiare, diversamente da quanto previsto (in ragione della legge Cirinnà) per il componente dell’unione civile; coerentemente la sentenza prevede conseguentemente la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 230-ter c.c. in relazione al mancato riconoscimento al convivente di fatto della prestazione lavorativa resa in famiglia, del diritto al mantenimento, alla gestione dell’impresa familiare, poiché tale carenza genera un ingiusto trattamento discriminatorio ed una minore tutela rispetto ai diritti del familiare componente dell’unione civile.
Con questa pronunzia la Consulta stabilisce quindi un altro step evolutivo del concetto di famiglia e considera giusta la possibilità di annoverare, tra i componenti della famiglia definita dal’art. 230 bis cod.civ., il convivente more uxorio, attribuendo solida ed azionabile rilevanza al lavoro prestato dal convivente assicurando allo stesso tutte le tutele previste per i familiari in rapporto al lavoro svolto nella famiglia e non più solamente al lavoro reso all’interno dell’impresa dell’altro convivente.
Con la sentenza in commento quindi anche al convivente di fatto è esteso il riconoscimento (oltre al già previsto diritto di partecipazione agli utili) del diritto al mantenimento, del diritto di prelazione nei casi di divisione ereditaria o cessione dell’impresa familiare. Dalla pronunzia dovrebbero scaturuire effetti amministrativi non indifferenti e sotto molti versanti, ad esempio relativamente alle conseguenze fiscali e previdenziali, anche se apparentemente la rilevanza della pronunzia è direttamente riferibile alle sole imprese familiari coltivatrici; parrebbe utile un intervento della parte pubblica e dell’esecutivo affinchè sia conseguentemente adottato un orientamento coerente del sistema burocratico, amministrativo, fiscale e previdenziale per dare concretezza ed agibilità alla nuova impostazione.
Una ultima annotazione, la questione oggi definita trae origine da una remota pronunzia del Tribunale di Fermo – conseguente ad una controversia radicata, un decennio addietro (nei confronti di figli e coeredi) dalla convivente di un coltivatore (titolare di un’azienda agricola, deceduto in costanza del rapporto affettivo) – appodata poi, dopo l’ appello, in Cassazione che, con Ordinanza delle Sezioni Unite (n. 1900/2014, pubblicata il 18 gennaio 2024) molto articolata e ben motivata, ne ha disposto l’invio alla Corte Costituzionale.
(M. Mazzanti)