SALARIO MINIMO opportunità o acqua nel mortaio

Giace alla Camera dei Deputati e già si intravedono baruffe tra Governo e opposizioni la proposta di legge frutto della unificazione dell’originaria proposta del Movimento 5 Stelle (la n. 306 presentata il 13 ottobre 2022) e le integrazioni delle altre opposizioni (dal PD ad Azione); la nuova proposta unitaria (la n. 1275  depositata  il 4 luglio 2023) ha lo scopo di introdurre in Italia il salario minimo. Il progetto di legge si inserisce oggi nella dialettica parlamentare (condizionata dagli scontri tra opposti schieramenti) nel vasto e non univoco dibattito tra corpi intermedi di rappresentanza, nel corpo sociale (ampliandosi le divergenze tra interventisti e non interventisti), tra gli esperti di legislazione del lavoro (divisi più che mai, secondo rigide scuole di pensiero).

Aumenta la confusione una stampa partigiana che non illustra né chiarisce i termini reali della questione.

Meglio chiarire alcuni punti indifferibili.

L’Europa non impone ai vari Stati membri, né prevede l’obbligatorietà, di alcun salario minimo così come non determina l’importo di alcun salario minimo; secondo la tanto citata (ma sovente di millantata conoscenza) direttiva UE anzi la questione nemmeno interessa l’Italia poiché è ampiamente garantita, nel nostro paese, la copertura sindacale (80% della platea dei lavoratori cui si applica la contrattazione nazionale collettiva) fatto che solleva il legislatore dall’intervento parlamentare  in materia.

La parte preponderante dei CCNL italiani (secondo la Fondazione Consulenti del Lavoro) assicura salari già oggi in linea con gli, oramai mitologici, 9 euro lordi /ora. Non è vero in assoluto che in Italia vi siano 3 milioni di lavoratori con salari minimi inferiori ai 9 euro (2.840.893 secondo l’INPS), poiché (come si evince anche dalla relazione ISTAT dell’11 luglio 2023, in audizione parlamentare) il cosiddetto fenomeno dei working poor andrebbe  valutato considerando la remunerazione annua effettiva in relazione alle caratteristiche della prestazione; il dato ISTAT cioè  non tiene conto appieno dei fattori base (ore e giornate di lavoro complessive, salario orario effettivo,  durata del contratto nell’anno, tipologia di contratto, stagionale, a chiamata, termine o part-time) generandosi la media del pollo di Trilussa, falsandosi incolpevolmente la discussione sul punto. Valutando lo studio ISTAT, in sostanza, i salari italiani sono “statisticamente” bassi (prescindendo ovviamente da considerazioni economiche e delle politiche contrattuali di settore) in ragione del mix salari tabellari, ridotta durata dei contratti di lavoro, numero di ore lavorate.

Si contano sulla punta delle dita di una mano i CCNL che portano un livello salariale di prima fascia inferiore ai 9 euro (es. commercio e servizi, cooperative sociali, guardie giurate, lavoro domestico, logistica spesso quindi riferibili ad attività con orari di attesa o a professionalità estremamente povere o marginali) anche se, tenendo conto degli istituti a maturazione differita, degli scatti e delle indennità contrattuali, le differenze nella gran parte dei casi si annullano.

La norma si propone poi di risolvere, surrettiziamente ma velleitariamente, l’annoso problema del valore “erga omnes” dei contratti collettivi di lavoro, cercando di superare la mancata attuazione (per la opposizione dei sindacati dei lavoratori) dell’art. 39 della Costituzione, come di arginare (art. 3) il fenomeno deteriore dei contratti pirata, generatori di dumping salariale. In tutti i casi si parte dalla coda e non dalla testa.

La norma non interessa solo i dipendenti ma anche (art. 1) le collaborazioni organizzate dal committente (jobs act), i contratti di agenzia o di rappresentanza commerciale, i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e quelli d’opera intellettuale o manuale ex art. 2222 cod. civ.; ovviamente non essendo per tali professioni vigente alcun CCNL di riferimento il committente è tenuto a corrispondere un compenso proporzionato al risultato ottenuto anche in rapporto al tempo  necessario d’ordinario per conseguirlo.

L’art.3 per queste ultime fattispecie cambia anche il codice civile:  all’articolo 2225 del codice civile è infatti aggiunto il seguente comma: « Il corrispettivo per la prestazione d’opera intellettuale o manuale non può essere comunque inferiore a quello stabilito dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale per mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati » che di fatto equipara i  lavoratori autonomi ai  subordinati. 

ll cuore della norma (art. 2) definisce (ex art. 36 Cost.) la retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato come “il  trattamento economico complessivo, comprensivo del trattamento economico minimo, degli scatti di anzianità, delle mensilità aggiuntive e delle indennità contrattuali fisse e continuative dovute in relazione all’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa”; lo stesso articolo  ne  stabilisce il valore sancendo che  “Il trattamento economico minimo orario come definito dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) non può comunque essere inferiore a 9 euro lordi”. La norma in esame, rispetto alla precedente proposta dei 5 Stelle, almeno chiarisce che i 9 euro lordi comprendono i ratei riferibili agli istituti a maturazione differita (festività, ferie, 13 esima e 14 esima, per il settore agricolo il 30,44 % del salario)  oltre agli scatti di anzianità ed alle indennità contrattuali fisse e continuative; non ricompreso il TFR (che per l’agricoltura pesa sul costo del lavoro  per l’8,63%). Rispetto al progetto del Mov.5 Stelle il nuovo testo ha cassato la norma relativa all’aumento automatico annuale IPCA  (es. al giugno 2023 l’indice è aumentato del + 6,7% e così sarebbero saliti tutti i salari minimi di legge).

Ogni anno una Commissione ministeriale denominata “Commissione per l’aggiornamento del valore soglia del trattamento economico minimo orario” (art. 5) adeguerà poi il valore soglia (i 9 euro). Stabilita poi (art. 4), per legge, anche la ultrattività dei CCNL scaduti. Immancabili poi le solite punizioni per i datori di lavoro: l’art. 6 della proposta di legge infatti prevede che qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti a impedire o a limitare l’applicazione delle disposizioni   sul salario minimo (fattispecie francamente vaga ed inafferrabile) su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali il giudice del lavoro, esperita una concisa procedura, potrà ordinare al datore “con decreto motivato e immediatamente esecutivo, la corresponsione ai lavoratori del trattamento economico complessivo e di tutti gli oneri conseguenti”.

Come recentemente osservato autorevolmente da molti commentatori ed esperti la norma sul salario minimo penalizza la contrattazione collettiva, trascura la valutazione circa il trattamento globale assicurato dalla negoziazione sindacale collettiva a scapito del semplicistico salario orario, innalza surrettiziamente il costo del lavoro per l’effetto trascinamento.

Chi scrive reputa poi insopportabile la  burocratizzazione della negoziazione salariale, compressa da aumenti automatici e dalle possibili deliberazioni della istituenda nuova Commissione Ministeriale, come l’annullamento sostanziale del ruolo delle parti sociali, frutto malato della proposta sul salario minimo, che per inciso non assicura nemmeno al lavoratore  un salario “ sufficiente e proporzionato” poiché la retribuzione è funzione delle ore lavorate e della produttività  e non del semplice valore orario, ancorchè minimo.  

Una perla poi è contenuta nell’art. 8 della proposta;  i datori di lavoro pagano il salario minimo ma i soldi li mette pantalone, recita infatti la formidabile proposta di Conte, Schlein, Fratoianni e compagnia cantante:  

La legge di bilancio per il 2024 definisce un beneficio in favore dei datori di lavoro, per un periodo di tempo definito e in misura progressivamente decrescente, proporzionale agli incrementi retributivi corrisposti

ai prestatori di lavoro al fine di adeguare il trattamento economico minimo orario all’importo di 9 euro ……”. Ovviamente manca nella proposta l’articolo con le coperture finanziarie per sopportare  questo intervento finanziario a carico dello Stato ma tant’è, adattando la frase attribuita a Winston Churchill si conferma che i ….promotori della proposta  sono come Cristoforo Colombo, partono senza sapere dove vanno, quando arrivano non sanno dove sono, tutto questo con i soldi degli altri.

(M. Mazzanti)