Animali selvatici e randagismo generano problemi risarcitori per i danni che incolpevoli cittadini possono subire in ragione di sinistri causati da animali non sottoposti a controllo e liberi, sia negli ambiti naturali che antropizzati. Frequenti sono ad esempio gli incidenti stradali causati da cani, lupi e cinghiali o ungulati in genere, come nelle campagne si cerca di contrastare, spesso senza apprezzabili risultati, i danni causati dalla presenza, sempre più proliferante ed incontrollata, dalla fauna selvatica alle colture, all’ambiente ed oggi anche all’uomo (orsi). Danni all’agricoltura e danni ai cittadini, ma chi è responsabile? Chi risarcisce? Per anni nel nostro paese si è analizzato il problema poiché quasi inestricabile era il coacervo normativo e complesse le sovrapposizioni di competenze ed infiniti i livelli burocratico-amministrativi interessati
(statali, regionali, provinciali, enti parchi, enti gestori di strade e oasi protette, aziende faunistico venatorie, A.T.C. e chi più ne ha più ne metta!).
Solo da pochi anni lo scenario è stato in qualche modo semplificato.
In un oramai remoto passato i danni causati dagli animali selvatici non erano indennizzabili (la fauna selvatica era considerata nel diritto positivo una “res nullius “), interventi significativi, ma non organici, vennero adottati dalla seconda metà degli anni ’70, con la legge 27 dicembre 1977, n. 968 (per le specie animali protette divenute parte del patrimonio indisponibile dello Stato, con l’attribuzione alla Regione delle funzioni normative) e negli anni ’90 (assegnando alla Provincia le competenze in materia di protezione della fauna selvatica, legge 142/1990).
In tale nebuloso contesto il soggetto danneggiato aveva quindi l’onere di individuare e provare la condotta colposa dell’ente asseritamente responsabile, rispetto ai danni subiti dalla fauna selvatica libera di muoversi sul territorio. Autorevolmente la Cassazione aveva osservato come il dover accertare ogni volta chi fosse l’ente responsabile avesse generato ricostruzioni normative in contrasto tra di loro e contraddizioni palesi, definendosi regimi risarcitori differenziati tra Regione e Regione, per tacere del fatto che passava sovente sotto traccia il tema della effettività della responsabilità.
I danni causati da animali sulle strade
Con la legge n. 157/1992 si è individuato ai fini dedotti nella Regione l’ente competente per la custodia delle strade (con possibili deleghe ad es. a Comuni) come l’attività di prevenzione e controllo degli animali selvatici, attraendo a se’ la veste di responsabile giuridico, in caso di sinistri, proprio in ragione della titolarità della competenza normativa in materia di gestione del patrimonio faunistico, delle funzioni di programmazione, coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica. La giurisprudenza negli ultimi anni ha poi mutato radicalmente prospettiva, alla luce della necessità di definire gli ambiti risarcitori con migliore accuratezza normativa e di ripartire correttamente l’onere della prova.
Danni da animali randagi
Si deve definire come randagio l’animale che, privo di padrone, vaga liberamente sul territorio. La norma quadro di riferimento è la Legge n. 281/1991 (art. 3); antecedentemente si dibatteva circa la individuazione dei soggetti/enti competenti e della relativa disciplina giuridica da applicare così come della riconducibilità del danno ex artt. 2051 e 2052 cod.civ. ovvero ex art. 2043 cod.civ (responsabilità extracontrattuale); oggi la giurisprudenza tende ad applicare i principi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod.civ., si veda ad es. la paradigmatica sentenza della Corte di cassazione 22 giugno 2020, n. 12112, poiché è nel caso assente, sugli animali liberi, qualsiasi rapporto di proprietà, custodia od uso da parte degli enti locali competenti. Da ultimo si segnala la sentenza della stessa Corte, n. 5339 del 28 febbraio 2024, che ribadisce come ai danni provocati da animali randagi (nel caso cani) si applichi la responsabilità ex art. 2043 cod. civ. e che l’ente preposto alla vigilanza si debba individuare sulla base della normativa regionale; nel contesto il danneggiato deve allegare e provare, anche con presunzioni, la regola di condotta violata dal soggetto tenuto al servizio di controllo del randagismo, mentre l’ente responsabile ha l’onere di dimostrare possibili scriminanti. La sentenza è interessante poiché premette una disamina riassuntiva dello stato delle questioni circa:
- l’accertamento della responsabilità per i danni derivanti dal randagismo che presuppone l’individuazione dell’ente cui le varie leggi nazionali e regionali affidano il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo – come le attività di recupero, cattura e ricovero dei randagi – poiché la legge statale (n. 281/91) e’ sul punto neutra, assegnando il compito di legiferare alle regioni;
- la differenziazione tra la responsabilità dei danni causati da randagismo e la responsabilità per i danni provocati da animali selvatici protetti; nel primo caso si applica, come detto, il regime elaborato con la sentenza della Cassazione n. 7969 del 20 aprile 2020, applicativa dalla regola di cui all’art. 2043 c.c., secondo cui la responsabilità si poggia prima che nell’accertamento della colpa dell’ente preposto, nell’accertamento dell’esistenza in capo all’ente di un obbligo giuridico avente ad oggetto lo svolgimento di un’attività vincolata in base alla legge (ad es. la cattura dell’animale randagio).
Secondo la Corte “Non possono trovare applicazione le regole di cui all’art. 2052 cod. civ., in considerazione della natura stessa di detti animali e dell’impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione ad essi, da parte dei soggetti della pubblica amministrazione preposti alla gestione del fenomeno del randagismo”. Relativamente all’onere della prova, nel contesto dell’art. 2043 cod. civ., la sentenza afferma che “L’onere del danneggiato è quello di provare, anche per presunzioni, l’esistenza di segnalazioni o richieste di intervento per la presenza abituale di cani, qualificabili come randagi,…. orientamento stigmatizzato con precedente pronuncia della Corte (Cass. 31/07/2017, n. 18954)…. rimane a valle dell’onere del soggetto tenuto per legge alla predisposizione di un servizio di recupero di cani randagi abbastanza articolato di provare di essersi attivato rispetto all’onere cautelare previsto dalla normativa regionale.”. Nel caso di specie l’ente responsabile era stato individuato, dalla norma regionale, nel Comune.
Con una precedente ordinanza (n. 22522/2019) la Cassazione aveva puntualizzato come “ il principio generale, affermato dalla giurisprudenza di legittimità ….. è quello di radicare la responsabilità civile per i danni causati dai cani randagi nell’ente o enti cui è attribuito dalla legge (ed in particolare dalle singole leggi regionali attuative della legge quadro nazionale n. 281 del 1991) il dovere di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione, e cioè il compito della, cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi mentre non può ritenersi sufficiente, a tal fine, l’attribuzione di generici compiti di prevenzione del randagismo, quale è il controllo delle nascite della popolazione canina e felina, avendo quest’ultimo ad oggetto il mero controllo numerico degli animali, a fini di igiene e profilassi, e, al più, una solo generica ed indiretta prevenzione dei vari inconvenienti legati al randagismo…” (si veda anche Cass. n. 12495 del 18 maggio 2017). Nel caso l’ente deputato era stato individuato nella USL locale.
Danni provocati ad animali selvatici protetti
Relativamente ai danni causati da causati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette e rientranti, sulla base della L. n. 157/1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato, consolidando il precedente orientamento, con la sentenza n. 19332 del 7 luglio 2023 la suprema Corte ha chiarito sia la legittimazione passiva che la fattispecie normativa applicabile al danno provocato da animali selvatici.
La Cassazione in sostanza ha affermato il principio secondo cui i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili a carico della pubblica amministrazione, ex art. 2052 cod. civ., poiché il criterio di imputazione della responsabilità si fonda sulla proprietà (ovvero sull’utilizzazione dell’animale) alla luce del fatto che le specie selvatiche, protette ex lege n. 157/1992, rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato che ne cura la gestione, per il tramite di altri soggetti pubblici, in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema (Cass. n. 8384 e 8385/2020, Cass. n. 7969/2020; Cass. n. 12113/2020; Cass. n. 20997/2020, Cass. n. 18085/2020, Cass. n. 18087/2020, Cass. n. 19101/2020, Cass. n. 25466/2020, Cass. n. 16414/2021 e Cass. n. 22271/2021, Cass. n. 32018/2021, Cass. n. 3023/ 2021).
La Cassazione (conformemente Ordinanza 8 giugno 2022, n. 18454) statuisce quindi che “nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici, a norma dell’art. 2052 c.c., la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonchè delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari- da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio delle funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno”. Relativamente all’onere probatorio, in materia di danni da fauna selvatica, ex art. 2052 cod. civ., il danneggiato ha l’onere di dimostrare “il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell’animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure – concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema – di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi”. Molto interessante in ordine agli aspetti, anche probatori, l’ordinanza della Cassazione 6 luglio 2020, n. 13848.
Sinistri autostradali da animali selvatici in genere
Da ricordare che qualora un sinistro, che coinvolga animali selvatici, avvenga in un tratto autostradale, oltre alle responsabilità innanzi tratteggiate, si potrà coinvolgere, in chiave indennitaria e risarcitoria, anche la società che ha in carico la gestione della strada, ex art. 2051 cod. civ., per la possibile responsabilità consistente nell’aver omesso misure atte a garantire la sicurezza dell’ambito stradale; possibili anche, nel caso di specie, profili di responsabilità contrattuale (in relazione al pagamento del pedaggio).
Agricoltura e indennizzi per danni da fauna selvatica e protetta
Venendo da ultimo ai danni causati, dagli animali selvatici (differenziando specie cacciabili e non cacciabili) alle aziende agricole occorre osservare come il riconoscimento indennitario si poggia su regole comunitarie (Regolamenti dell’U.E. sugli aiuti di Stato), applicandosi il regime (per le specie non cacciabili) sul de minimis e norme regionali (con relative deleghe agli enti territoriali gestori) per le specie cacciabili. La competenza gestoria anche in questo caso è della Regione che normalmente agisce per il tramite di enti delegati (in genere Comuni, Città metropolitane, A.T.C.).
La fonte normativa interna più risalente è data dall’art. 26 della Legge n. 157/1992, che ha disciplinato, anche in relazione alle attività venatorie, il risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria. Le regioni italiane hanno poi legiferato sul punto definendo i danni risarcibili (in genere quando si genera la riduzione quantitativa di una coltura, del patrimonio zootecnico aziendale, di opere o impianti realizzati ai fini agricoli), i danni non risarcibili (es. in colture improduttive o attività poco produttive), le misure di prevenzione di interesse pubblico (es. repellenti, sagome, protezioni per alberi da frutto e viti, recinzioni); un quadro questo che non risponde appieno (per carenza di fondi e complessità procedurali) alle aspettative risarcitorio/indennitarie degli agricoltori.
(M. Mazzanti)