L’occupazione abusiva e senza titolo.

Sovente nelle nostre campagne, complici l’abbandono delle colture specializzate o dell’allevamento, si rendono disponibili numerosi fabbricati, anche ad uso abitativo, che vengono, proditoriamente ed abusivamente, occupati da soggetti non qualificati e nemmeno titolati.

Diverso è il caso in cui, al termine di una regolare affittanza, il conduttore rimanga nella detenzione del bene, in tal caso si discute di possesso senza titolo e, per la materia agraria, sarà competente per lo sgombero, sezione specializzata agraria del Tribunale.

Venendo alla occupazione abusiva il nostro ordinamento conosce strumenti reattivi dei danneggiati sia di carattere penale che civile.

Il proprietario di beni rustici che sia colpito da tale “invasione” preliminarmente dovrà ovviamente avvertire la pubblica autorità ed in specie l’autorità locale di pubblica sicurezza (stazione dei Carabinieri, Polizia di Stato o Polizia locale, Sindaco).

Parimenti nei confronti dell’occupante abusivo si potrà esperire una denuncia querela onde ottenere il rilascio a mezzo della forza pubblica.

Da notare che, qualora l’occupazione abusiva sia ancora in corso e si possa definire in flagranza di reato, l’autorità di pubblica scurezza potrà intervenire anche prescindendo dall’ordine dell’autorità giudiziaria.

Relativamente agli aspetti penali, in situazioni del genere, si potrà valutare la applicabilità della fattispecie punitiva di cui all’art. 633 c.p. (invasione di terreni o edifici), si vedano anche l’art.  635 c.p. (danneggiamento) ed, in connessione con l’uso della cosa, le norme di cui agli artt. 624, 625 c.p. (furto).

Non inutili alcuni riferimenti giurisprudenziali.

Secondo lo Cassazione (Sez.2.Penale – sentenza 18/11/2019, n. 46.692) “Il delitto di invasione di edifici, di cui all’art. 633 c.p., ha natura permanente quando l’occupazione si protrae nel tempo, determinando un’immanente limitazione della facoltà di godimento spettante al titolare del bene, con la conseguenza che il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui cessa l’occupazione, con l’allontanamento dell’occupante dall’edificio” ed ancora “nel reato di invasione di terreni o edifici di cui all’art. 633 c.p. la nozione di “invasione” non si riferisce all’aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma la comportamento di colui che si introduce “arbitrariamente”, ossia “contra ius” in quanto privo del diritto di accesso, cosicché la conseguente “occupazione” costituisce l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione, nel caso in cui l’occupazione si protragga nel tempo, il delitto ha natura permanente e la permanenza cessa soltanto con l’allontanamento del soggetto o con la sentenza di condanna, dopo la quale la protrazione del comportamento illecito dà luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell’invasione, ma si sostanzia nella prosecuzione dell’occupazione” (Corte di Cassazione, sez. 2. Penale – sentenza 8/07/2019, n. 29.657).

Per inciso, si noti come, “in tema di invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, il versamento all’ente pubblico proprietario dell’immobile dell’indennità di occupazione ovvero il rilascio all’imputato di un certificato di residenza indicante quale luogo d’abitazione l’immobile occupato e l’allaccio delle utenze domestiche non escludono la sussistenza del reato, già perfezionato con l’abusiva introduzione nell’immobile e la destinazione dello stesso a propria stabile occupazione” (Corte di Cassazione, Sez. 2. Penale- sentenza 28/01/2020, n. 3.436).

Relativamente al danneggiamento (art. 635 c.p.) si osserva che, con il D.lgs. n. 7/2016 (art.4), il reato di danneggiamento “semplice” è stato depenalizzato ed oggi è contemplato solo quando il danneggiamento sia in connessione con “violenza alla persona o minaccia”; per gli illeciti è oggi prevista la sanzione pecuniaria (amministrativa) da cento ad ottomila euro cui si potrà aggiungere la ordinaria responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c..

Passando ai profili civilistici il proprietario arbitrariamente spogliato del suo bene avrà la facoltà di intraprendere alcune azioni a tutela della proprietà; si tratta in specie dell’azione di rivendicazione (ex art. 948 c.c.) con la quale si potrà anche richiedere il risarcimento del danno. Più rapida è la risposta in caso di azione possessoria, ex art. 1168 c.c. (azione di reintegrazione), con la quale si chiede di essere reimmessi nel legittimo possesso del bene violentemente ed oculatamente “sottratto”. Dal punto di vista civilistico assai rilevante è il tema della prova. Secondo i giudici di legittimità (Cass. Sez. 2. Civile, ordinanza n. 31642 del 4/11/2021) “lo spogliato del possesso, che agisca per conseguire il risarcimento dei danni, è soggetto al normale onere della prova in tema di responsabilità per fatto illecito”. Pertanto, “qualora non abbia provato il pregiudizio sofferto, non può emettersi in suo favore condanna al risarcimento con liquidazione equitativa dei danni”(Cass. Sez. 2. n. 2203 del 03/06/1975). Ancora “Non può essere, quindi, accolta la domanda di risarcimento del danno derivante dalla privazione del possesso di un immobile in modo violento o clandestino (che si configura come fatto illecito) nel caso in cui la parte non abbia fornito la prova dell’esistenza e dell’entità materiale del pregiudizio e la domanda non sia limitata alla richiesta della sola pronuncia sull’ “an debeatur” , non essendo allora ammissibile il ricorso al potere officioso di liquidazione equitativa del danno” (Cass. Sez.1.n. 8854 del 01/06/2012; Cass. Sez. 6. n. 7871 del 20/03/2019).

Secondo la Cassazione, cioè la lesione di diritti, in assenza dell’esistenza del danno, non può giustificare la condanna risarcitoria, la quale assumerebbe l’improprio valore di sanzione, come evidenziato dalla giurisprudenza (Cass. nn. 21865/2013, 23194/2013, 18812/2014, 24474/2014); non può, quindi, confondersi la prova del danno (cioè la procurata lesione patrimoniale) con l’illeceità della condotta di spossessamento; pertanto, la valutazione equitativa (artt. 1226 e 2056 c.c.) in tanto può invocarsi in quanto il danno risulti dimostrato, potendo supplire esclusivamente all’impossibilità di provare il danno “nel suo preciso ammontare”.

(M. Mazzanti)