Lavoro agricolo: torna l’imponibile di manodopera.

Con una sorprendente pronunzia la Corte Costituzionale (sentenza n. 121/2019 del 17 maggio 2019) ha stabilito, avuto riguardo al quesito sollevato dalla Corte di Appello di Roma, relativamente alla legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, D.Lgs. 11 agosto 1993, n. 375, che l’accertamento dei contributi previdenziali agricoli – CAU – fondato sulla stima tecnica del fabbisogno presuntivo di manodopera dell’azienda non pregiudica la tutela previdenziale dei lavoratori e non viola, pertanto, i princìpi di uguaglianza e ragionevolezza.

 

Non è ozioso ricordare il portato normativo della norma dichiarata conforme alla costituzione; questo il distillato del testo dell’art. 8, c. 2, del D.Lgs. n. 375 del 1993, con il quale si attribuisce agli ispettori del lavoro ed agli organi di vigilanza ispettiva di procedere qualora ne ricorrano i presupposti e nell’ambito di un accertamento ispettivo ad una “stima tecnica a mezzo visita ispettiva” e ciò al fine di determinare “il numero delle giornate di lavoro occorrenti in relazione all’ordinamento colturale dei terreni, al bestiame allevato, ai sistemi di lavorazione praticati da ciascuna azienda, ai periodi di esecuzione dei lavori, nonché alle consuetudini locali”.

 

In buona sostanza, viene confermato il meccanismo di accertamento ai fini C.A.U., peraltro sempre contestato dalle aziende e dalle loro organizzazioni sindacali, basato su parametri astratti ed iniqui quando non arbitrari.

 

Il meccanismo è indubbiamente perverso poiché da un lato consente all’I.N.P.S. di stabilire un fabbisogno lavorativo, di liquidare la contribuzione a carico della ditta, di diffidare l’agricoltore all’adempimento e ciò sulla base di un accertamento che è palesemente induttivo, redatto dagli ispettori (quindi di parte) col rischio di ritornare alle tanto vituperate tabelle ettaro colturali degli anni ’70; dall’altro la meccanica odierna ipotizza l’inversione (diabolica) dell’onere della prova, che è posto in capo all’azienda che per difendersi adeguatamente dovrà assoldare, in carenza di basi scientifiche tecnico colturali univoche, schiere di consulenti , agronomi e avvocati.

 

Si noti che tale procedura è unica e si applica solo al settore agricolo.

 

La procedura induttiva, come è noto, scatta quando:

  • il datore di lavoro non abbia fornito all’I.N.P.S. “adeguata motivazione” circa lo scostamento di fabbisogno occupazionale rispetto alle colture verificato dall’I.N.P.S. ed ai relativi DMAG trimestrali,
  • quando nell’ambito ispettivo l’I.N.P.S. non abbia individuato i “lavoratori utilizzati e le relative giornate di occupazione”.

 

La Corte di Appello di Roma con una prima eccezione aveva osservato come la stima tecnica ed il successivo accertato fabbisogno presuntivo avrebbe comportato la imposizione di “pesi disuguali a soggetti che si trovano in condizioni di parità o pesi uguali a soggetti che non sono in ugual condizioni”.

Con un secondo motivo la stessa Corte rilevava come con tale meccanismo di accertamento venisse alterato il normale assetto previdenziale poiché l’accertamento, avulso dalla individuazione nominativa dei lavoratori impiegati e delle giornate di occupazione ad essi riferibili, avrebbe trasformato la contribuzione previdenziale in imposizione para-tributaria o quantomeno come una sanzione amministrativa.

La sentenza della Corte Costituzionale ha valutato come infondati entrambi i motivi sollevati dalla Corte di Appello di Roma.

 

In particolare, in ordine all’accertamento induttivo la Corte ha sancito come l’accertamento induttivo sia in concreto relativo al “fabbisogno di giornate lavorative di ciascuna singola specifica azienda agricola, considerata nella sua peculiare struttura e nell’organizzazione che la caratterizza”, negandosi su queste analitiche specifiche basi il rischio che si determinino disparità di trattamento.

 

In ordine all’assenza di individuazione dei lavoratori la Corte afferma che ciò non genera astratta imponibilità fiscale, restando comunque le somme definite in sede di accertamento nell’alveo della contribuzione protezionistica e della tutela previdenziale del lavoro, ancorché indistinta.

 

Un enorme passo indietro; la procedura induttiva era infatti caduta in desuetudine, per l’alto contenzioso che aveva generato negli anni; siamo tornati, con questa sentenza, di fatto alla legittimazione dell’imponibile di manodopera (già dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 78 de 16 – 30 dicembre 1958), previsto in origine dal Decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 16 settembre 1947, n. 929 o, nella migliore delle ipotesi, alla riesumazione delle vecchie tabelle ettaro coltura .

 

Non dobbiamo però stupirci: molti, negli ultimi anni, sono gli esempi giurisprudenziali puntivi delle ragioni dell’impresa e dell’art. 41 della Costituzione; resuscitare l’imponibile di manodopera del dopoguerra ne è solo l’ultimo e più eclatante esempio.

(M. Mazzanti)