CORRUZIONE NEL SETTORE PRIVATO. D.LGS. N. 38 DEL 15.3.2017 “ATTUAZIONE DELLA DECISIONE QUADRO 2003/568/GAI (GIUSTIZIA, AFFARI INTERNI) DEL CONSIGLIO EUROPEO DEL 22.7.2003.

Corruzione nel settore privato. D.Lgs. n. 38 del 15.3.2017 “Attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI (Giustizia, Affari Interni) del Consiglio Europeo del 22.7.2003.

 

Lo stato etico imposto dall’Europa – dimenticando l’ammonimento di Tacito secondo il quale è infinito il numero delle leggi nella corruzione della cosa repubblica – avanza e pervade il nostro ordinamento, aggiungendo nuovi (discutibili e ridondanti) reati; anche in questa occasione Cesare Beccaria si rivolterà nella tomba! Ultimo esempio di allargamento delle norme penali in materia economica è il D.Lgs. n. 38 del 15.3.2017 emanato in “Attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI (Giustizia, Affari Interni) del Consiglio Europeo del 22.7.2003”, in relazione alla legge delega n. 170 del 2016. Tale disciplina prende le mosse dalle norme europee di recepimento della decisione quadro 2003/568/GAI, che aveva imposto agli Stati di prevedere nelle singole legislazioni nazionali, come reato, il mercimonio delle attività private, derivanti da violazioni di doveri di ufficio e in grado di arrecare distorsione della concorrenza e in generale danni all’economia. Con valenza dal 14 aprile 2017 è infatti stato modificato l’art. 2635 del Codice Civile introducendo, nel belpaese, il reato di corruzione privata; in precedenza norme similari erano previste unicamente per i il settore pubblico. Sulla base del novellato articolo 2635 C.C., anche nel settore privato, gli amministratori, i sindaci di società ed enti privati (fondazioni, sindacati, associazioni, ecc) che, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono per sé o  per altri denaro o altra utilità non dovuti o ne accettano la promessa, per compiere o omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti il loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Per inciso si ricorda che recentemente la legge n. 190/2012 già aveva normato una fattispecie analoga, inerente la corruzione tra privati, quando ciò avesse generato nocumento  alla società; la citata norma aveva portata più limitata, essendo perseguibile a querela di parte, semprechè dai fatti commessi non derivasse una distorsione della concorrenza nella circolazione di beni o servizi, determinandosi per questo la punibilità d’ufficio.

Vediamo i caratteri distintivi della nuova fattispecie penale.

Autori

La norma si applica non solo ai soggetti formalmente apicali (amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società o enti) ma sono interessati anche coloro che nell’ente sono concretamente investiti di funzioni direttive, diverse da quelle formalmente conferite; il reato pertanto, può essere contestato ai soggetti che in via di mero fatto svolgono compiti di amministratore o coloro che  svolgono funzioni analoghe.

Condotta

La condotta materiale è sovrapponibile a quella che l’art. 319 del codice penale prevede per i casi corruzione del pubblico ufficiale; nella nuova casistica quindi l’amministratore   deve ricevere – o ne accetta la promessa – per sé o per altri denaro o altre utilità non dovute (fuori campo ovviamente i compensi stabiliti legittimamente dagli organismi statutari), per compiere od omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti l’ufficio o degli obblighi di fedeltà. Rispetto alle regole previgenti non è più elemento costitutore della fattispecie punitiva il pregiudizio o danno diretto che la società (o l’ente) possa aver subito in relazione alla condotta infedele del proprio amministratore.

Sanzione

Il reato prevede la pena della reclusione da uno a tre anni; segue, quale pena accessoria, l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (ex art. 32-bis cod. pen.); se dalla condotta corruttiva del proprio amministratore la società (o ente) ha tratto una qualche utilità nei confronti della persona giuridica si applicano le sanzioni pecuniarie di cui al decreto legislativo n. 231/2001.

Istigazione

Da ricordare poi come l’art. 2635-bis del Codice Civile punisce anche l’istigazione alla corruzione tra i privati; istigare significa offrire e/o promette denaro o altra utilità non dovuti agli amministratori (come ai direttori generali, sindaci, liquidatori di società o enti privati) ovvero a chi nell’ambito privato ricopra i funzioni direttive, per compiere od omettere atti in violazione degli obblighi inerenti il proprio ufficio od incarico ovvero tradendo gli obblighi di fedeltà.

La stessa norma si applica a chi nell’esercizio di funzioni apicali e direttive, solleciti per sé o per altri (anche indirettamente con persona interposta) una promessa o donazione di denaro o di altra utilità, sempre per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi di fedeltà, nel caso in cui la sollecitazione non sia accettata; il reato è però perseguibile a querela della persona.

(M. Mazzanti)