Contributi INPS, appalti e responsabilità solidale: cambia l’orientamento.

La sentenza n° 18.004 del 4 luglio 2019, della Sezione lavoro della Corte di Cassazione, ha fissato un principio in merito al tema, alquanto controverso, del termine decadenziale per il pagamento dei contributi INPS, nell’ambito di un appalto, ed in particolare al termine entro cui è possibile far valere la responsabilità solidale del committente per i debiti contributivi.

Sul punto si erano altresì espresse le sentenze della Corte n. 8662 del 28.03.2019, n. 13650 del 21.05.2019.

La norma in questione è quella relativa all’appalto e contenuta nel D.Lgs. n.276/2003 (c.d. Decreto Biagi) all’art. 29; secondo tale norma – che prevede il principio della responsabilità solidale del committente di un appalto di opere o servizi per i crediti retributivi e contributivi vantati dal lavoratore dipendente verso il proprio datore di lavoro / appaltatore – “in caso di appalto di opere o di servizi,  il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali ed i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto”.

Tale previsione ha lo scopo di garantire il pagamento del corrispettivo e degli oneri previdenziali dovuti, consentendo al lavoratore ed agli istituti previdenziali di agire nei confronti di un committente, che ha

beneficiato della prestazione lavorativa resa da terzi, in forza del contratto di appalto, nell’ambito della quale i crediti INPS sono maturati e non corrisposti.

 

Secondo la Corte, l’art. 29, comma 2, del citato D.lgs. n. 276/2003, che pone il termine di decadenza di due anni dalla cessazione dell’appalto per l’esercizio dei diritti dei prestatori di lavoro, dipendenti da imprese appaltatrici di opere e servizi nei confronti degli imprenditori appaltanti – pur facendo riferimento, oltre che ai diritti al trattamento economico e normativo, anche al diritto di pretendere l’adempimento degli obblighi derivanti dalle leggi previdenziali – limita l’ambito di efficacia del suddetto termine ai diritti suscettibili di essere fatti valere direttamente dal lavoratore, non potendo estendere invece l’efficacia della disposizione legislativa ad un soggetto terzo, quale l’ente previdenziale, i cui diritti scaturenti dal rapporto di lavoro, disciplinato dalla legge, si sottraggono proprio per questa finalità al termine biennale decadenziale.

 

In pratica, rispetto al termine decadenziale, in materia di appalti ed in merito al regime di responsabilità solidale, occorre quindi distinguere i crediti retributivi dei lavoratori dai crediti contributivi previsti in favore degli Istituti previdenziali, al fine di individuare i termini per l’esercizio delle relative azioni; la Corte di Cassazione ha, perciò, affermato che il regime decadenziale dei due anni previsto dall’art. 29, comma 2, trova applicazione esclusivamente all’azione esperita dal lavoratore, non potendosi estendere anche agli enti previdenziali, per i quali valgono gli ordinari termini prescrizionali (previsti ex art. 3, comma 9, della legge 335/1995, che è ordinariamente di 5 anni ovvero di 10 anni in casi specifici).

 

Secondo la Cassazione, sulla base del principio secondo cui il rapporto di lavoro ed il rapporto previdenziale, per quanto connessi, sono tra loro distinti, l’obbligazione contributiva in capo all’INPS, a differenza di quelle retributiva (che riguarda i privati datori di lavoro) deriva dalla legge ed ha natura pubblicistica risultando pertanto indisponibile.

 

La Corte evidenzia, poi, come l’oggetto dell’obbligazione contributiva coincida con il “minimale contributivo strutturato dalla legge in modo imperativo”, ritenendo pertanto che l’applicazione estensiva del termine decadenziale dell’art. 29, comma 2, porterebbe ad un effetto contrario rispetto a tale assetto normativo ovvero alla possibilità che “alla corresponsione di una retribuzione a seguito dell’azione tempestivamente proposta dal lavoratore, non possa seguire il soddisfacimento anche dell’obbligo contributivo solo perché l’ente previdenziale non ha azionato la propria pretesa nel termine di due anni dalla conclusione dell’appalto”.

 

La Corte di Cassazione stabilisce, quindi, il principio di diritto secondo cui il termine decadenziale di due anni previsto dall’art. 29, comma 2, riguardi esclusivamente l’esercizio dell’azione nei confronti del responsabile solidale da parte del lavoratore, per il soddisfacimento dei crediti retributivi e non sia applicabile, invece, all’azione promossa dagli enti previdenziali per il soddisfacimento della pretesa contributiva. Quest’ultima risulta soggetta dunque alla sola prescrizione prevista, come si accennava innanzi, dall’art. 3, comma 9, L. 335/1995.

Sull’argomento, recentemente, è intervenuto anche l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (I.N.L.) con nota n. 9943 del 19 novembre 2019.

(M. Mazzanti)