Contributi ai Consorzi di Bonifica. Consolidato l’orientamento giurisprudenziale in ordine alla debenza tributaria.

Con una pluralità di pronunzie si è venuto a consolidare, negli ultimi anni, l’indirizzo giurisprudenziale relativo alla obbligatorietà del pagamento dei contributi dovuti ai consorzi di bonifica da parte dei soggetti, proprietari immobiliari, ricadenti nell’ambito territoriale gestito dai consorzi.

 

La meritoria azione dei consorzi di bonifica italiani si fonda principalmente, dal punto di vista normativo, sulla legge – emanata negli anni 30 del secolo scorso – “Serpieri” (dal nome dell’allora sottosegretario all’agricoltura, Arrigo Serpieri) relativa alla “bonifica integrale”.

 

Acuta e lungimirante l’azione politico – programmatica del Serpieri, il quale determinò la nascita di un vero e proprio “Testo Unico” relativo alle opere necessarie per il risanamento del nostro Paese.

 

L’art. 1 del Testo unico sulla bonifica integrale (Legge n. 215 del 13 febbraio 1933), infatti, prevedeva: “Alla bonifica integrale si provvede per scopi di pubblico interesse, mediante opere di bonifica e di miglioramento fondiario.

Le opere di bonifica sono quelle che si compiono in base ad un piano generale di lavori e di attività coordinate, con rilevanti vantaggi igienici, demografici, economici o sociali, in Comprensori in cui cadano laghi, stagni, paludi e terre paludose, o costituiti da terreni montani dissestati nei riguardi idrogeologici e forestali, ovvero da terreni, estensivamente utilizzati per gravi cause d’ordine fisico e sociale, e suscettibili, rimosse queste, di una radicale trasformazione dell’ordinamento produttivo.

Le opere di miglioramento fondiario sono quelle che si compiono a vantaggio di uno o più fondi, indipendentemente da un piano generale di bonifica”.

 

Per procedere agli scopi indicati venivano all’uopo costituiti i consorzi di bonifica ed i consorzi di miglioramento fondiario.

Con legge successiva, si stabilì che per il conseguimento dei fini istituzionali i consorzi di bonifica potevano imporre contributi alle proprietà consorziate.

Successivamente, il codice civile (artt. 857 – 865) delineò il quadro normativo relativo alla c.d. e citata “bonifica integrale”, assegnando ai consorzi di bonifica (art. 862 c.c.) tra proprietari, l’esecuzione, la manutenzione e l’esercizio delle opere di bonifica; analogamente per i consorzi di miglioramento fondiario.

Per finanziare le opere consortili veniva stabilito l’onere, posto in capo ai proprietari consorziati, di versare contributi (artt. 860 e 864 c.c.), in ragione del beneficio.

 

Quindi, secondo il quadro sopra sommariamente delineato, la disciplina dei Consorzi di Bonifica presupponeva già ab origine, un piano di bonifica complessivo delle opere necessarie per il territorio, un piano di classificazione degli immobili ricadenti nel comprensorio ed utile alla definizione dei contributi dovuti, un coerente piano di riparto delle spese consortili, emanato sulla base delle spese consortili per i fini istituzionali, all’uopo definendosi, in modo chiaro e documentato, il contributo di bonifica dovuto dai singoli proprietari di beni immobili; l’imposizione contributiva consortile si fonda, quindi, sulla proprietà di un immobile ricadente nel perimetro territoriale consortile, sulla utilità o beneficio o incremento valoriale che tale immobile tragga dalle opere di bonifica e dalla conservazione e manutenzione delle stesse; beneficio che dovrà essere effettivo e non generico e relativo ad ogni singolo bene, ancorché comune a più immobili.

 

Su tali basi, oramai acquisito il principio secondo cui la mera inclusione di un bene in un ambito consortile non ha rilievo in “re ipsa” e non è in genere sufficiente per attestare il beneficio in favore del contribuente.

 

Conformemente si vedano Cass. n. 7511/1993, Cass. S.U. n. 8960/1996; in pratica, il c.d. beneficio fondiario del consorziato deve essere diretto, specifico ed aumentare la qualità del bene, ciò grazie alle opere del consorzio medesimo.

Dal punto di vista probatorio (si veda Cass. 8960/1996 e Cass. 654/2012, Cass. 4671/2012) è onere del consorzio dare prova del vantaggio (per ogni cespite) anche per il riparto.

 

In tema normativo, la bonifica poi regolata dalle norme costituzionali (artt. 117 e 119 Cost.) relativamente alla potestà legislativa (anche concorrente) delle Regioni, nonché da norme statuali (L. 454/1961, D.P.R. 947/1862, D.P.R. 11/1971, D.P.R. 616/1977, D.L. 248/2007).

 

Il contributo consortile di bonifica, che non ha natura sinallagmatica, secondo la lettura della Corte Costituzionale (si veda la recente sentenza n. 19 ottobre 2018 n. 188) – confermativa delle prassi consolidatesi nel tempo e delle norme succedutesi al riguardo stigmatizzate, in specie, con sentenza della Cassazione a Sezioni Unita, n. 8770 del 3 maggio 2016 – ha natura tributaria e costituisce un contributo di scopo, con la conseguenza che è identificabile un vero e proprio potere impositivo del consorzio nei confronti dei consorziati. Secondo la Corte Costituzionale, in sintesi estrema, la contribuzione consortile di scopo, ha peraltro come suo necessario presupposto il beneficio che gli immobili dei consorziati traggono dall’attività di bonifica.

 

Passando alla questione probatoria, la Corte di Cassazione ha espresso un orientamento oramai   pacifico, secondo il quale (Cass. S.U. 2600/2008), in caso di mancata contestazione del piano di contribuenza e del piano di classifica, è onere del contribuente fornire la prova della carenza del vantaggio fondiario in relazione alle opere di bonifica e manutenzione effettuate dal Consorzio (ordinanza Corte Cassazione 7 agosto 2019, n. 21104).

 

Ancora, sul punto si veda l’ordinanza 29 agosto 2019, n. 21820, con la quale la Corte di Cassazione ha riassunto la questione; in sostanza, l’adozione del piano di classifica e ripartizione ingenera una presunzione (iuris tantum) di vantaggiosità dell’attività di bonifica svolta dal Consorzio, ossia di benefici fondiari immediati e diretti derivanti dalle opere di bonifica per i fondi di proprietà dei consorziati ricompresi nel perimetro di contribuenza, così che incombe sul consorziato l’onere di fornire la prova contraria (della non vantaggiosità, per il proprio fondo, dell’attività di bonifica svolta dal Consorzio); e che solo qualora detti atti generali manchino, ovvero vengano specificamente contestati dal contribuente (anche in sede di cartella di pagamento), la suddetta vantaggiosità deve essere provata dl Consorzio sulla base dell’art. 2697 c.c. (si vedano in tema le sentenze Cass. 9511/2018, Cass. 13130/2017, Cass. 24356/2016, Cass. 23220/2014, Cass. 21176/2014, Cass. 9099/2012, Cass. S.U. 11722/2010).

 

Conforme ai princìpi innanzi ricordati anche la recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 23542 del 20 settembre 2019.

 

In sintesi, il contributo / tributo consortile non è dovuto quando il contribuente / consorziato abbia contestato / impugnato i piani di classifica ed il Consorzio non abbia dimostrato la sussistenza ed i presupposti della pretesa che si fondano sul beneficio fondiario diretto e specifico in rapporto alle opere effettuate.

 

Infine, occorre ricordare che i contributi di bonifica gravanti sui redditi degli immobili che concorrono a formare il reddito complessivo sono deducibili dal reddito lordo da denunciare ai fini fiscali, ai sensi dell’art. 10, lett. a) del D.P.R. 917/1986.

 

La deduzione dei contributi di bonifica va indicata in relazione all’anno solare in cui è avvenuto il relativo versamento, indipendentemente dall’anno di competenza del contributo versato.

(M. Mazzanti)