Pubblicato, in Gazzetta Ufficiale, il Decreto interministeriale del 17 giugno 2022, concernente la proroga, per un triennio, del già costituito “Tavolo operativo” (creato con il Decreto interministeriale del 4 luglio 2019) per la definizione di una strategia di contrasto al caporalato ed allo sfruttamento lavorativo nel comparto agricoltura.
Il Ministero del Lavoro informa, al riguardo, che la proroga si è resa necessaria per assicurare l’indirizzo e il coordinamento nell’attuazione delle azioni previste nel “Piano Triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato (2020-22)”, approvato il 20 febbraio 2020.
Con il citato Decreto Interministeriale viene aggiornata l’organizzazione e il funzionamento del Tavolo delineando specifici ulteriori gruppi di lavoro del Ministero del lavoro quali il “Gruppo 7 – Banche dati” (coordinato dalla Direzione generale dell’innovazione tecnologica, delle risorse strumentali e della comunicazione) e il “Gruppo 8 – Protezione, assistenza, reinserimento sociale e lavorativo delle vittime di sfruttamento” (coordinato dalla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione) .
Si rammenta che la fonte normativa in merito è data dalla legge 29 ottobre 2016, n. 199, che ha introdotto regole più stringenti relativamente al contrasto del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura, ridefinendo anche i contorni del reato di caporalato ed introducendo il reato di sfruttamento, con rilevante inasprimento delle sanzioni penali e delle misure cautelari.
Secondo il nuovo art. 603 bis c.p., vigente dal 4 novembre 2016, fermo restando il reato di intermediazione illecita (introdotto con legge n. 148/2011), è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque assuma manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori ovvero chiunque utilizzi, assuma o impieghi manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Se tali fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Sono indicatori di sfruttamento la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie; la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro; la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni dell’alloggio degradanti; sono aggravanti che fanno lievitare la pena (da un terzo alla metà) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre, il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa .
In precedenza il datore di lavoro era sottoposto ai rigori della legge eventualmente unicamente in relazione al “concorso nel reato”, ex art. 110 c.p. e non in via diretta. Perché sia attuale il reato di sfruttamento del lavoro occorre quindi accertare che nello sfruttamento del lavoratore e nell’approfittamento dello stato di bisogno, siano rilevabili i caratteri della sistematicità o condizioni di lavoro degradanti. Lo sfruttamento non necessariamente assume una connotazione economica, ma può essere connesso anche ad una utilizzazione a fini egoistici di un soggetto da parte di un altro, approfittando di uno stato di soggezione psichica cui i lavoratori siano sottoposti all’altrui potere di disposizione, che si estrinseca nell’esigere, con violenza fisica o psichica, prestazioni lavorative od altri bisogni “di fare”.
L’approfittamento è da intendersi invece come la situazione di debolezza e di mancanza materiale o morale, idonea a condizionare la volontà della persona, approfittando ad esempio dello stato di necessità (debolezza o mancanza materiale) o di bisogno (che priva il soggetto della libertà di scelta) ovvero derivante dal disagio economico dovuto all’assenza di alternative esistenziali di un immigrato da un paese povero, imponendo condizioni di vita abnormi e sfruttandone le prestazioni lavorative.
(M. Mazzanti)