CASSAZIONE – pronuncia su usucapione

Con recente ordinanza la Corte di cassazione afferma un interessante principio in tema di usucapione di terreni. Infatti, con Ordinanza n.11663, pubblicata il 30 aprile 2024 si stabilisce, ai fini dell’usucapione, che la sola coltivazione di un terreno non costituisce un sufficiente atto di possesso “uti dominus”; onde acquisire la proprietà il possesso, secondo i giudici, deve manifestarsi mediante un controllo esclusivo e manifesto del bene, chiaramente opposto all’attuale possessore.

L’ordinanza argomenta diffusamente e sancisce che in relazione alla domanda di accertamento dell’intervenuta usucapione della proprietà di un fondo destinato ad uso agricolo non è sufficiente, dal punto di vista probatorio, la mera coltivazione del terreno “poiché tale attività è pienamente compatibile con una relazione materiale fondata su un titolo convenzionale o sulla mera tolleranza del proprietario e non esprime, comunque, un’attività idonea a realizzare esclusione dei terzi dal godimento del bene che costituisce l’espressione tipica del diritto di proprietà”.

La corte sul punto richiama precedenti conformi e per indirizzo consolidato (Sez. 2, n. 1796 del 20/01/2022, Sez. 6 – 2, n. 6123 del 05/03/2020, Sez. 2, n. 18215 del 29/07/2013, Sez. 2, n. 19478 del 20/09/2007).

La Cassazione reputa poi che  “il Giudice necessariamente dovrà individuare in che modo sia stata manifestata l’opposizione al proprietario, perché a fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione – il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva – l’intento del coltivatore di possedere deve realizzarsi in un’attività materiale inequivocabilmente svolta uti dominus: l’interversione nel possesso non può avere luogo, infatti, mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso (Cass. Sez. 2, n. 17376 del 03/07/2018)”.

Sostanzialmente il giudice (del merito) dovrà considerare e valutare “l’intero complesso dei poteri esercitati su un bene, non limitandosi a considerare l’attività di chi si pretende possessore, ma considerando anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento concretamente esercitato del proprietario (Cass. Sez. 6 – 2, n. 6123 del 05/03/2020)”.

Richiamando sacrosanti principi la Cassazione ribadisce che “ il possesso richiesto dall’art. 1158 cod. civ., oltre ad essere non equivoco, pacifico e pubblico, accompagnato dall’animo di tenere la cosa come propria, deve essere continuo e non interrotto e deve protrarsi per oltre venti anni. 

Il requisito della continuità, evidentemente necessario, diversamente da quanto affermato in sentenza, si fonda sulla necessità che il possessore esplichi costantemente il potere di fatto corrispondente al diritto reale posseduto e lo manifesti con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità ed alla destinazione della cosa e tali da rivelare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria di fatto sulla res. 

La continuità si distingue, pertanto, dall’interruzione del possesso, giacché per la prima rileva unicamente il comportamento del possessore, e non già la volontà contraria del proprietario, mentre la seconda deriva dal fatto del terzo che privi il possessore del possesso (interruzione naturale) o dall’attività del titolare del diritto reale, il quale compia un atto di esercizio del diritto medesimo (così Sez. 2, n. 27376 del 2021, con richiamo a Cass. Sez. 2, 13/12/1994, n. 10652; Cass. Sez. 2, 17/07/1998, n. 6997; Cass. Sez. 2, 09/10/2003, n. 15092)”.

Non irrilevante osservare poi come l’ordinanza in esame espliciti un ulteriore elemento interpretativo, in ordine al computo del periodo utile per usucapire un bene immobile (c.d. “ventennio”); il Giudice, sul punto, “ ha, infatti, il potere/dovere di accertare in ogni caso, anche d’ufficio e indipendentemente dall’attività processuale del convenuto, la sussistenza degli elementi costitutivi del diritto fatto valere dall’attore, e l’art. 1158 cod. civ. pone, tra gli elementi costitutivi dell’usucapione, proprio il protrarsi continuativo del possesso per il previsto periodo ventennale: l’attore che intenda avvalersene, pertanto, è onerato della prova dell’intero decorso di tale periodo Cass. Sez. 2, n. 5487 del 18/03/2004)”.

(M. Mazzanti)