Con una recente pronunzia, la Corte di Cassazione ha sancito un importante principio relativamente al pagamento – per il personale operaio “avventizio” (operai a tempo determinato o stagionali) occupato nel settore agricolo – dei contributi INPS (CAU).
Il contenzioso si era sviluppato, con il sostegno di Confagricoltura Toscana, per contrastare l’interpretazione dell’INPS secondo cui, ai fini del calcolo dell’imponibile contributivo, la retribuzione degli operai agricoli a tempo determinato dovesse essere rapportata ad un orario normale di 6,30 ore settimanali e non anche alle ore effettivamente lavorate dal dipendente, anche se di numero inferiore.
Con la ordinanza n. 13185/22, depositata il 27 aprile 2022, la Corte di Cassazione ha chiarito autorevolmente la complessa questione, intrecciandosi sul punto una pluralità di normative, contrattuali (C.C.N.L. e C.P.L. operai agricoli) e di legge (legge 388/2000, D.lgs. 368/2001, D.Lgs. 66/2003 e Direttive Comunitarie 99/70/CE e 2000/34/CE).
Secondo la Corte di Cassazione, infatti, il C.C.N.L. di settore contiene norme utili ad inquadrare correttamente il problema relativo alla individuazione dell’imponibile previdenziale per il calcolo contributivo; trattasi, in particolare, della norma secondo cui quando il contratto collettivo nazionale, nel prevedere che “l’orario di lavoro è stabilito in 39 ore settimanali pari ad ore 6,30 giornaliere”, si limita, secondo i giudici di legittimità, ad individuare il limite massimo dell’orario normale settimanale e, specularmente, di quello giornaliero, calcolato come parte di quello settimanale, senza tuttavia dettare alcuna previsione circa l’orario minimo giornaliero esigibile dal prestatore di lavoro; la Cassazione ritiene, poi, che la norma sia confermata da altro articolo del CCNL operai agricoli, secondo il quale “l’operaio a tempo determinato ha diritto al pagamento delle ore di lavoro effettivamente prestate nella giornata”.
Secondo la Corte, queste norme appaiono incompatibili con il concetto di orario di lavoro settimanale e di orario giornaliero, poiché questa previsione svincola la retribuzione dovuta dal riferimento ad un tempo di lavoro precostituito ed individuale in termini generali ed astratti.
Come affermato dalla Corte, con dovizia argomentativa, vi è una specificità e peculiarità del lavoro agricolo a tempo determinato, non potendosi “astrattamente” definire per il personale avventizio, in relazione alle norme contrattuali sull’orario di lavoro, una sorta di “minimale contributivo” indipendente dal salario “dovuto” sulla base delle norme contrattuali in specie sull’orario di lavoro, ricordando, per inciso, al riguardo che i princìpi contenuti nelle direttive comunitarie richiamate disciplinano esclusivamente l’orario massimo di lavoro esigibile dal dipendente, ma nulla dicono in ordine all’orario normale né alcunché in termini di orario minimo garantito al prestatore di lavoro.
Pertanto, qualora il lavoratore (a tempo determinato) avventizio, concretamente abbia svolto nell’azienda agricola un orario inferiore a quello settimanale (39 ore) e/o giornaliero (6,30 ore), secondo la Corte di Cassazione (confermando quindi la lettura prescrittiva del contratto di lavoro sia nazionale che provinciale applicato) i contributi previdenziali dovuti dal datore di lavoro agricolo sui corrispettivi corrisposti agli operai agricoli a tempo determinato dovranno essere calcolati esclusivamente sulle ore effettivamente lavorate, salvo il caso in cui (in concreto) risulti che, in occasione di interruzioni del servizio dovute a causa di forza maggiore (per esempio in relazione ad intemperie o motivi organizzativi o produttivi momentaneamente impedienti la prestazione ), il datore di lavoro abbia disposto la presenza in azienda dell’operaio ordinando allo stesso di rimanere a disposizione onde eventualmente riprendere il lavoro qualora cessate le causali sospensive.
(M. Mazzanti)