CAPORALATO E IMPRENDITORI: URGE MODIFICA ALLA LEGGE.

Caporalato e imprenditori: urge modifica alla legge.

Il disegno di legge, recentemente approvato dal Senato della Repubblica, in materia di caporalato, di contrasto al lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura segna un preoccupante crocevia per il mondo rurale italiano, che soccombe alla martellante opera propagandistica sindacale, alla tradizionale insipienza della politica, alla pervasiva onnipresenza delle burocrazie, al giustizialismo da fiera delle vanità, al politicamente corretto. Entriamo nel cuore del problema. Il nuovo testo dell’art. 603 bis del codice penale, come approvato dal Senato il 1° agosto 2016, prevede una nuova disciplina per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro: “E’ punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque: 1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori; 2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”. Fattispecie relativamente chiara e pene conseguente gravi ma comprensibili, stante l’allarme sociale connaturato alla condotta, quanto meno per il punto 1) che punisce il caporale.

Più problematica la fattispecie di cui al punto 2) che punisce l’imprenditore utilizzatore di personale “non in regola”.

Grave è, però, la definizione che il testo assegna al concetto di “sfruttamento”; il punto focale del testo normativo. Passare dal politichese sindacalizzato al diritto penale è arduo:

Costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni: 1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; 2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro; 4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti”.

In buona sostanza, la mera, ancorché reiterata, inottemperanza a semplici obblighi di carattere contrattuale e cioè in ordine alla corresponsione del salario (se difforme dal contratto collettivo di lavoro), all’organizzazione del lavoro (orario di lavoro, riposo settimanale domenicale, ad una sconosciuta “aspettativa obbligatoria”, alle ferie – che per inciso per i lavoratori agricoli avventizi non sono contrattualmente previste) determinano la sussistenza della fattispecie penale: l’imprenditore è cioè un delinquente se usa, indipendentemente dalla esistenza di un caporale, personale “non in regola”, secondo i parametri contrattuali collettivi: si passa dal civile al penale senza colpo ferire; dal Giudice del Lavoro al Giudice Penale.

Drammatica è, però, la conseguenza della condotta: la norma introduce, infatti, un nuovo articoletto, il 603 bis.2, in tema di confisca obbligatoria: “In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale per i delitti previsti dall’articolo 603 bis, è sempre obbligatoria, salvi i diritti della persona offesa alle restituzioni ed al risarcimento del danno, la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato. Ove essa non sia possibile è disposta la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità, anche indirettamente o per interposta persona, per un valore corrispondente al prodotto, prezzo o profitto del reato”.

In pratica l’imprenditore agricolo “sfruttatore” che ha, ad esempio, non ha fatto godere del riposo domenicale ai dipendenti, non ha concesso le ferie, ha esagerato con l’orario di lavoro, è spogliato dei propri beni, della terra, delle macchine agricole.

Azzerato! La proprietà del fondo agricolo e di tutti i beni, anche strumentali, il patrimonio personale, passano allo Stato in via coattiva.

Agricoltori trattati come mafiosi.

Ciliegina a corollario: per il reato è previsto l’arresto obbligatorio in fragranza; il nostro agricoltore sarà, quindi, tradotto al carcere, sarà però in buona compagnia tra assassini, stupratori, rapinatori, terroristi e quanto altro.

Comprendiamo il disfavore sociale mail passo sembra più lungo della gamba. Il provvedimento passa ora alla Camera. Confagricoltura ha sensibilizzato i parlamentari interessati dall’esame in seconda lettura.

Secondo Confagricoltura, occorre meglio definire la fattispecie, onde focalizzare l’attenzione sull’utilizzo dell’attività di intermediazione illecita, in modo da legare l’intermediazione illecita allo sfruttamento del lavoro, elementi che debbono entrambi sussistere perché si configuri l’ipotesi delittuosa di cui al citato articolo del codice penale.

Diversamente, si potrebbe configurare, ad esempio, il reato di sfruttamento del lavoro, anche per i datori di lavoro che assumono regolarmente i propri dipendenti ed in modo occasionale, una volta sola, incorrono nella violazione di una qualunque disposizione, anche la più lieve e meramente formale, delle numerose, complesse e stratificate disposizioni in materia di igiene e sicurezza sul lavoro.

Gli indici di sfruttamento previsti (basta che ne ricorra uno solo) non sono idonei, secondo Confagricoltura, a rilevare una reale situazione di sfruttamento del lavoro, essendo focalizzati anche su violazioni lievi e meramente formali di normative legali e contrattuali. Sempre secondo Confagricoltura, occorre meglio precisare la norma relativa alla sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nel luogo di lavoro, per evitare l’applicazione di sanzioni penali in presenza di qualunque violazione della predetta normativa.

(M. Mazzanti)