Assegnazione di alloggi ai dipendenti profili civilistici, fiscali e previdenziali.

È frequente, nelle aziende agricole, la concessione di immobile, al personale dipendente, vuoi in comodato od affitto. Il contratto di comodato è (essenzialmente) gratuito. Pertanto, il comodatario non può corrispondere una somma al comodante in relazione al godimento del bene, come invece accade in una normale locazione, dove viceversa si corrisponde il canone d’affitto. È possibile concordare somme a titolo di ristoro di alcune prestazioni accessorie, ma queste non possono considerarsi come un corrispettivo per il godimento dell’immobile, pena la conversione del contratto da comodato in affitto.

Dal punto di vista civilistico eventuali somme riconosciute da un lavoratore a titolo di ristoro/rimborso per l’utilizzo di un immobile in comodato non potrebbero tenersi in considerazione ai fini della determinazione del valore del fringe benefit ai sensi dell’art. 51, c. 4, lett. c) (che, con riferimento alla somma da sottrarre alla rendita catastale e spese, parla di “… quanto corrisposto per il godimento del fabbricato stesso”); nel comodato, non essendo possibile identificare una somma corrisposta dal lavoratore per il godimento del bene (essendo gratuito), il valore del fringe benefit è definito dalla somma della rendita catastale dell’immobile e delle eventuali utenze e spese a carico dell’azienda.

In questo caso, dunque, il valore del fringe benefit dovrebbe essere riconosciuto integralmente, con sottoposizione alle trattenute fiscali ed alle aliquote contributive. La mancata valorizzazione del fringe benefit ed il conseguente mancato pagamento dei contributi potrebbe essere oggetto di accertamento, da parte degli organi ispettivi, con applicazione di sanzioni amministrative e la gestione di un contenzioso complesso. In ogni caso comunque la cessione di un immobile abitativo al dipendente, indipendentemente dal titolo, ha natura di fringe benefit, rappresentando una retribuzione in natura ex art. 2099 c.c.; oltre il limite di esenzione fiscale (Art. 51, c. 3, D.P.R. 917/1986 – € 258,23) il valore del benefit costituisce reddito imponibile per il lavoratore (sia fiscalmente che in via contributiva).

L’importo è altresì rilevante ai fini del calcolo del TFR (Cassazione – sez. lav., n. 38169/2022, Tribunale di Udine, sent. n. 60/22). Il valore dei fabbricati concessi in locazione o comodato (Art. 51, c. 4, lett. c), D.P.R. 917/1986) è dato dalla differenza algebrica tra la somma della rendita catastale dell’immobile e delle eventuali utenze a carico dell’azienda (gas, acqua, energia elettrica, telefono – escluse spese di assicurazione, manutenzione ordinaria, amministrazione dell’immobile e servizi comuni) e  quanto corrisposto per il godimento del fabbricato stesso.  Al valore così definito si sommano le altre spese sostenute dal concedente e non rimborsate da parte del lavoratore. Nel caso di immobile goduto da più dipendenti contestualmente, il valore del benefit è ripartito tra i fruitori secondo quote uguali o proporzionali al godimento individuale (Circ. Min. Economie e Finanze 326/E – 23/12/1997).

Quando l’alloggio di proprietà dell’azienda sia concesso in comodato gratuito o affitto al dipendente (senza obbligo di dimora – es. custode/portiere), come si diceva per il lavoratore il beneficio è reddito imponibile costituito dalla rendita catastale (effettiva o presunta, in caso di immobile non iscritto al catasto), aumentata delle eventuali spese inerenti al fabbricato sostenute dall’impresa (es.: utenze acqua, gas, energia elettrica) e non rimborsate dal lavoratore. Nel caso in cui il lavoratore corrisponda un canone di affitto per il godimento dell’immobile inferiore al valore del fringe benefit come sopra definito, e sussista pertanto una differenza in positivo per il lavoratore, tale somma differenziale dovrà essere sottoposta alla contribuzione fiscale e previdenziale; quando viceversa il canone di affitto è uguale o maggiore al valore del fringe benefit, non c’è imposizione fiscale e nemmeno imposizione contributiva a carico dell’azienda.

Sempre in tema di comodato si dovrà poi precisare che, in caso di contenzioso, qualora il contratto di comodato dovesse essere considerato da un Giudice come contratto di affitto, ad es. in virtù del pagamento di “somme di ristoro” che mascherano nella realtà un canone di locazione vero e proprio, troverebbe applicazione la disciplina della locazione, inclusa la legge 431 del 1998, con riconduzione della fattispecie alle normali tempistiche delle locazioni abitative (4+4) peraltro senza la possibilità di stabilire pattiziamente l’ammontare del canone; peraltro occorre osservare che  qualora il rapporto di lavoro tra il dipendente e l’azienda dovesse cessare ed a fronte di una mancata liberazione spontanea dell’immobile, si applicano per il rilascio il rito civile ordinario anziché le più celeri procedure di sfratto per finita locazione (art. 659 c.p.c.).

(M. Mazzanti)