Originata da una controversia posta alla attenzione della Commissione Tributaria Provinciale di Modena nel 2021, successivamente approdata al correlato livello regionale, la Cassazione (Cass. civ. Sez. V – Ordinanza 24 luglio 2024 n. 20591) si è occupata di una interessante questione relativa alla deducibilità, ai fini fiscali, dai costi aziendali delle prestazioni relative ad appalti (nel caso con alta intensità di manodopera) avuto riguardo alla distinzione tra appalti genuini ed illecita somministrazione di manodopera.
In materia è infatti indispensabile valutare alcuni requisiti fondamentali del rapporto sotteso quali l’esercizio concreto del potere direttivo, l’assunzione del rischio d’impresa e l’organizzazione dei mezzi e materiali utili in capo all’appaltatore. La decisione si fonda sulla precisa disamina del sistema normativo inerente gli appalti ad alta intensità di manodopera.
Secondo l’art. 29 del decreto Biagi (D.Lgs. 276/ 2003 con le modifiche di cui all’art. 28 del D.Lgs n. 175/2014), infatti “….. il contratto di appalto, stipulato ai sensi dell’art. 1655 c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione all’esigenza dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa”.
L’ordinanza in commento riassume l’orientamento del giudice di legittimità puntualizzando efficacemente la questione affermando che “affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi …..è necessario verificare, specie nell’ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (cd. labour intensive), che all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro.
Ciò che conta è il reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, con impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa”.
Proseguendo nell’analisi la recente pronunzia afferma che si potrà “ravvisare un’interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente. In questo caso non rileva il fatto che manchi, in capo a quest’ultimo, l’intuitus personae nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di somministrazione illegale, è frequente che l’elemento fiduciario caratterizzi l’intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro. Siffatto requisito dev’essere accertato in concreto dal giudice, alla stregua dell’oggetto e del contenuto intrinseco dell’appalto, tenendo conto che….. mentre in appalti che richiedono l’impiego di importanti mezzi o materiali, cd. pesanti, il requisito dell’autonomia organizzativa dev’essere calibrato se non sulla titolarità, quanto meno sull’organizzazione di questi mezzi, negli appalti cd. leggeri, in cui l’attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nella prestazione di lavoro, è sufficiente che in capo all’appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti”.
Importante anche la precisazione ulteriore relativa al divieto d’intermediazione di manodopera; la Cassazione osserva infatti come il decreto Biagi “distingue il contratto di appalto dalla somministrazione irregolare di lavoro in base all’assunzione, nel primo, del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore e all’eterodirezione dei lavoratori utilizzati, la quale ricorre quando l’appaltante-interponente non solo organizza, ma dirige anche i dipendenti dell’appaltatore. Specularmente, rimangono in capo all’interposta solo compiti di gestione amministrativa del rapporto senza una reale organizzazione della prestazione lavorativa”.
In definitiva la Cassazione sostiene che “nel caso di appalto non genuino, non sussiste alcun valido contratto di appalto e il rapporto di somministrazione di lavoro, apparentemente instaurato con l’appaltatrice, in ultima analisi è nullo con conseguente impossibilità di detrarre l’IVA da parte della società contribuente. Ciò rileva anche ai fini della deduzione di componenti negativi di reddito”.
Opportuno infine stigmatizzare il principio affernmato dalla Cassazione con la odierna pronuncia , secodo cui “ «Ai fini della valutazione della deduzione di componenti negativi di reddito ai sensi dell’art. 5, comma 3, del DLgs. n. 446/1997 e dell’esclusione dalla base imponibile ex art. 26-bis della L. 196/1997 e detrazione dell’IVA, la distinzione tra appalto genuino di cui all’art. 1655 c.c. e l’illecita somministrazione di manodopera si individua nella concorrenza dei requisiti di assunzione del rischio di impresa e di direzione ed organizzazione di mezzi e materiali necessari da parte dell’appaltatore, tenendo presente che l’organizzazione può anche essere minima negli appalti cd. “leggeri” a prevalenza di apporto personale di unità specializzate, mentre negli appalti cd. “labour intensive” il requisito si sostanzia soprattutto nell’esercizio del potere direttivo dei mezzi e materiali».
(M. Mazzanti)