L’ufficio legale di Confagricoltura con recente comunicazione ha informato circa alcune pronunzie giurisprudenziali in ordine alla legittimità dell’assimilazione delle strutture agrituristiche alle attività di carattere alberghiero ai fini del computo dalla TARI (tassa sui rifiuti).
Confagricoltura segnala, in particolare, due recenti pronunce, del Cons. Stato, sez. V, sent. 19.02.2019 n. 1162 e della Cass. civ., sez. V, ord. 11.04.2019 n. 10156, in relazione alla tassa sui rifiuti «TARI» vigente dal 2014.
Con la prima decisione il Consiglio di Stato torna sull’annosa questione della equiparazione – ai fini della determinazione delle tariffe per la tassa sui rifiuti – tra gli alberghi e gli agriturismi.
Il Collegio rileva che l’anzidetta assimilazione, sovente adottata dai Comuni, implica una presunzione di equivalenza di condizione soggettiva tra albergo e agriturismo che non trova riscontro nel nostro ordinamento giuridico che, di contro, differenzia le due fattispecie tanto sotto il profilo dello statuto imprenditoriale e delle finalità dell’attività (artt. 1 e 2 della Legge quadro sull’agriturismo 20 febbraio 2006, n. 96), tanto sotto il profilo dell’ordinamento del turismo.
Secondo il Consiglio di Stato, l’attività agrituristica è specificazione dell’attività agricola e non attività assimilabile a quella alberghiera, dalla quale lo dividono finalità e regime. Dunque, nella pur necessaria imposizione della tassa, producendo gli agriturismi propri rifiuti di tipo urbano, la specialità della tipologia agrituristica determina una necessaria differenziazione, tipologica e quantitativa, rispetto alle attività commerciali – che sono di altro ordine e natura.
Detto altrimenti, la differenziazione di condizione amministrativa e fiscale tra gli alberghi e gli agriturismi non può che riflettersi nella commisurazione della capacità contributiva; di talché, è illegittima l’assimilazione operata dalla delibera comunale impugnata nel giudizio in esame che avrebbe dovuto operare una classificazione autonoma (con apposite sottocategorie) proporzionata alla connotazione specifica dell’attività agrituristica e all’effettiva capacità di produzione, per quantità e qualità.
Con la seconda pronuncia, la Corte di Cassazione muove dal presupposto della Tari individuato ex art. 1 comma 641 di cui alla menzionata L. n. 147 del 2013 «nel possesso o detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani» per affermare il principio – applicabile in termini generali – in virtù del quale “sono tassabili tutti i locali, posseduti o detenuti, oggettivamente idonei all’uso anche se di fatto non utilizzati”.
Secondo la Cassazione, devono ritenersi esclusi dalla tassazione i locali e le aree oggettivamente inutilizzabili e non soltanto soggettivamente inutilizzati, permanendo in tale ultimo caso la possibilità di usufruire del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti urbani. La condizione di “obiettiva” impossibilità di utilizzo dell’immobile, prosegue la Corte, non può essere individuata nella mancata utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell’utente e neppure al mancato utilizzo di fatto del locale o dell’area, non coincidendo tanto le prime che il secondo con l’obiettiva non utilizzabilità dell’immobile; in sostanza, la tassa sui rifiuti è dovuta ove sussista la obiettiva possibilità di usufruire del servizio, a prescindere dalla sua fruizione.
(M. Mazzanti)