«Il territorio e gli imprenditori agricoli devono essere protagonisti della nuova politica agricola europea, nella predisposizione del prossimo piano regionale di sviluppo rurale e nella programmazione degli investimenti. Bisogna cogliere le opportunità del Recovery Fund mettendo in campo una sinergia di crescita intelligente, tra le istituzioni e le rappresentanze agricole, per sostenere le aziende in questa difficile fase», archivia il bilancio agricolo 2020 e guarda avanti Marcello Bonvicini, presidente di Confagricoltura Emilia Romagna.
Il granaio dell’Emilia-Romagna chiude l’anno con un risultato commerciale tutto sommato positivo malgrado il quadro produttivo regionale molto disomogeneo. Il clima è stato benevolo con le province orientali – la Romagna -, ma non con quelle occidentali dove le abbondanti piogge autunnali hanno causato ritardi nelle semine e dove, per contro, la successiva assenza di precipitazioni da febbraio a giugno inoltrato ha infierito sul raccolto del frumento tenero e duro. L’orzo, invece, ha portato a casa quasi ovunque produzioni superiori alla media e un buon peso specifico. Sulla brillante performance del mercato interviene Lorenzo Furini, responsabile dei produttori di cereali di Confagricoltura Emilia Romagna, che chiarisce: «Il prezzo del frumento tenero mostra oggi un incremento di circa 23 euro a tonnellata rispetto a dicembre scorso (da 193 a 216 euro/ton su base annuale). Il valore del duro è addirittura passato da 257,50 a 301 euro a tonnellata nello stesso periodo: un risultato raggiunto anche grazie all’orientamento dell’industria pastaria sempre più indirizzato verso il prodotto made in Italy. Nel breve è previsto un andamento potenzialmente stabile per il duro e in leggera flessione per il tenero». Quanto alla campagna 2021, «si stima un aumento della superficie regionale coltivata a grano da 230 a 238 mila ettari, con il duro che arriva così a coprire oltre il 30% degli ettari investiti; le coltivazioni di orzo sono in tendenziale crescita (+ 2-4%) e passano da 25 a 26 mila ettari totali». Si preannuncia inoltre un balzo in avanti anche nelle superfici dedicate alla coltura del mais, «complice il successo commerciale ottenuto dal mais da granella il cui prezzo è aumentato di 23,3 euro a tonnellata negli ultimi 12 mesi e dalle crescenti richieste del prodotto destinato ai biodigestori, alle agroenergie».
Buona l’annata per le proteoleaginose, «in particolare – spiega Marco Faccia, presidente della sezione di prodotto – la soia ha ottenuto rese più che sodisfacenti, in media 40-50 quintali a ettaro, sia negli areali vocati del Ferrarese e del Bolognese sia in Romagna. Sul fronte commerciale, il prezzo del seme di soia ha raggiunto la soglia (ambita) dei 390 euro a tonnellata. Ciò lascia presupporre un aumento delle superfici investite nel 2021, spinto soprattutto da contratti di coltivazione e vendita vantaggiosi per l’agricoltore. Un nuovo e crescente interesse sta riscuotendo anche il girasole, la cui superficie regionale supera attualmente i 10 mila ettari. È importante – evidenzia infine l’imprenditore – ridurre la dipendenza dall’estero di queste materie prime, fonti proteiche fondamentali per la nostra industria mangimistica».
Stupefacente la produzione vitivinicola sotto il profilo quali-quantitativo, ma l’annata 2020 resta comunque contrassegnata dagli effetti del Covid e dalla grave crisi innescata dalla chiusura di bar e ristoranti. «Va male», è il grido d’allarme di Mirco Gianaroli, presidente dei viticoltori di Confagricoltura Emilia Romagna. «Serve un forte intervento da parte delle istituzioni per scongiurare la chiusura di 9 mila aziende viticole sulle 17 mila presenti su territorio regionale. Sono soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni a soffrire di più, con importanti giacenze di magazzino e fatturati decurtati anche del 60%, proprio ora, nel periodo invernale, che l’attività non può essere fermata e si richiede il massimo impegno lavorativo per potature e lavorazioni in cantina». Una riflessione a parte va fatta per le grandi realtà del vino che invece chiudono il bilancio con un incremento di vendite intorno al 25%, prevalentemente nella GDO e nei supermercati che non hanno per nulla risentito della debacle, anzi.
Il settore frutticolo ha aperto l’anno con una perdita quali-quantitativa pari a 400 milioni di euro a causa delle gelate di inizio marzo che hanno colpito più di 9.000 aziende su una superficie coltivata di circa 48.000 ettari, decimando il raccolto delle principali specie frutticole in particolare le drupacee nell’areale romagnolo e le sue varietà precoci. «Amaro è il bilancio consuntivo 2020 – dice Albano Bergami, presidente regionale e nazionale dei frutticoltori di Confagricoltura Emilia Romagna -. La capacità produttiva di albicocche, pesche, nettarine e susine ha registrato il minimo storico; quella di kiwi e ciliegie si è dimezzata. Infine, ammonta a circa 85 milioni di euro la conta dei danni sul pero provocati dalla maculatura bruna, tra le più temibili malattie fungine che è esplosa in agosto con una virulenza mai vista prima». C’è un piano di rilancio condiviso tra Regione e rappresentanze che guarda alla riconversione varietale, alla ricerca avanzata sulla difesa fitosanitaria, a moderni impianti di protezione da eventi calamitosi e alla revisione del sistema assicurativo e della legge 102 come anche a sgravi contributivi e fiscali sull’esempio dei paesi Ue competitor. «Bisogna agire in fretta per frenare l’emorragia. A preoccupare sono lo stallo politico nazionale nell’attuare le necessarie riforme strutturali, la burocrazia ormai fuori controllo e la mancanza di una visione comune, produttiva e commerciale, da definire quanto prima al Tavolo ortofrutticolo istituito al Mipaaf. Inoltre – conclude Bergami – chiediamo con forza la valutazione dell’impatto della strategia europea Farm to Fork sulle aziende agricole e sull’agroalimentare per evitare scelte imprenditoriali non sostenibili».
Il presidente dei produttori di pomodoro, Giovanni Lambertini, fissa gli obiettivi per il prossimo anno: «Valorizzare al meglio la campagna in termini di superfici, di programmazione dei trapianti e dei quantitativi, considerando il potenziale di trasformazione delle industrie e lavorando insieme, al tavolo di contrattazione del nuovo accordo quadro, per una remunerazione oggettiva della qualità. Pur nell’attuale contesto di elevata incertezza, appare evidente la vitalità dei mercati del pomodoro “made in Italy”, che vince sugli scaffali di tutto il mondo e dall’Emilia-Romagna proviene il 70% del raccolto del Nord». Le anomalie climatiche hanno caratterizzato il 2020 determinando un accorciamento dei tempi di raccolta per via della maturazione in contemporanea delle bacche e anticipando la chiusura della campagna. Tuttavia la resa per ettaro è stata alta (74 ton/ha) e la qualità superiore alla media quinquennale (4,82 di grado brix), sia per la produzione integrata che per quella biologica. Nonostante ciò, il prezzo riconosciuto al produttore si è mantenuto basso nei periodi critici della campagna scaricando prevalentemente sulla parte agricola l’onere.
Il Covid non ha penalizzato le produzioni biologiche e i relativi consumi, confermando il trend di crescita costante degli anni precedenti anche se rallentato. Il responsabile di settore, Paolo Parisini, tira le somme: «Il nostro comparto rappresenta oltre il 15% della superficie agricola dell’Emilia-Romagna ed ha all’attivo più di 6000 imprese. La Regione è prima in Italia per numero di aziende di acquacoltura bio. Da evidenziare inoltre il boom nella produzione di ortaggi da agricoltura biologica che oggi investono oltre 10 mila ettari complessivi da Piacenza a Rimini. Nelle quotazioni all’ingrosso non ci sono state sostanziali variazioni, ad eccezione del farro (in recupero) e del grano duro (in calo). Una sola nota dolente: i gravissimi danni provocati dagli ungulati, in special modo nelle zone collinari e a ridosso dei parchi, fino a minacciare se non annullare la redditività delle coltivazioni».
Si appresta a concludere un anno complesso il presidente degli allevatori di suini di Confagricoltura Emilia Romagna, Andrea Cavazzuti. Da un lato la chiusura del canale horeca aggravata dal tracollo del turismo e dall’azzeramento degli eventi; dall’altro il blocco delle esportazioni di carne suina dalla Germania alla Cina – a causa dei focolai di peste suina africana accertati nel paese -, che ha generato volumi di prodotto extra verso mercati di sbocco come l’Italia. «In sintesi, le quotazioni dei suini da ingrasso – spiega l’allevatore – sono crollate vertiginosamente da 1.70 a 1 euro al chilo nel periodo da gennaio a giugno per poi risalire in estate e quindi calare nuovamente fino a toccare 1.20 euro. Si confermano molto bassi anche i valori medi attuali dei capi da 30 chili: all’incirca 2 euro/kg». Soffre il sistema allevatoriale dell’Emilia-Romagna che produce il 13% circa dei capi da ingrasso commercializzati in Italia: in 10 anni si è ridotto di oltre il 30% il numero degli allevamenti presenti sul territorio e del 60% quello delle scrofaie. «Si rischia di perdere pezzi importanti della filiera, che rappresentano il fiore all’occhiello della produzione nazionale. Confagricoltura invoca l’intervento delle istituzioni regionali (semplificazione degli adempimenti burocratici in materia ambientale e sanitaria) e nazionali (supporto alle aziende in crisi e un quadro legislativo capace di dare unità e forza commerciale alla filiera e al Consorzio del Prosciutto di Parma, per valorizzare la nostra produzione di qualità). Occorre limitare le importazioni dall’Europa – incalza Cavazzuti – poi è incomprensibile il rinvio dell’etichettatura d’origine».
Per il latte e i prodotti lattiero-caseari, la riflessione del presidente della sezione, Roberto Gelfi, parte dall’impatto del Covid nelle scelte di consumo, «sempre più indirizzate verso l’alta qualità e il cibo di marca (Parmigiano Reggiano): la prolungata permanenza a casa ha infatti favorito un’alimentazione consapevole e prodotti caratterizzati da una alta “reputazione”, riducendo l’acquisto di alimenti a “corta scadenza” come il latte fresco. Quindi nel 2020 non sono mancate tensioni sul prezzo del latte alimentare, con una linea di tendenza al ribasso. Per il prodotto destinato alle Dop, c’è stata una ripresa delle quotazioni a partire dall’autunno. Sono state evidenti le manovre speculative nell’ambito del Parmigiano Reggiano, pertanto, al fine di contrastare tali minacce – dice a chiare lettere Gelfi – sarà necessario aumentare i posti-forma nei magazzini del comprensorio della Dop, orientando in tale direzione anche le linee d’intervento del prossimo PSR; migliorare le condizioni di accesso (garanzie e tassi di interesse) alle forme di credito già esistenti, così da sostenere i produttori nello sforzo di rimandare la vendita del prodotto a un momento commerciale più favorevole; studiare nuove soluzioni di finanziamento, quali ad esempio fondi “rotazionali”, partecipati sia dal privato (produttori e i loro consorzi), che dal pubblico come anche da banche e assicurazioni».