Agricoltura, reddito di cittadinanza e politiche attive del lavoro.

Le enormi somme stanziate in questi anni ed il risultato modesto raggiunto sul versante lavoro rappresentano il “de profundis” per il reddito di Cittadinanza.

Solo 152 mila percettori del reddito di cittadinanza (elaborazione dati della CGIA di Mestre) hanno trovato un posto di lavoro grazie ai navigator, su oltre 1 milione di beneficiari che hanno percepito in media quasi 7 mila euro l’anno (secondo le stime INPS, ad agosto 2021, sono infatti 1,24 milioni i nuclei percettori, con una platea totale di interessati di oltre tre milioni).

Ogni posto di lavoro “creato” è costato allo Stato 52 mila euro, il doppio del costo medio annuo di un operaio. L’istituto non ha contribuito a creare lavoro né a contrastare la disoccupazione, a fronte ad un costo complessivo nel triennio di 19,6 miliardi (3,8 nel 2019 – 7,2 nel 2020 e 8,6 miliardi per il 2021); con previsione per il 2022 di una spesa di per il 2022 di 7,7 miliardi.

A fronte dell’imponente somma spesa, tra gli oltre tre milioni di percettori del reddito solamente 1,15 milioni hanno sottoscritto un Patto per il lavoro, rendendosi disponibili a trovare un’occupazione e solo 152 mila hanno trovato una stabile occupazione.

Secondo l’ANPAL le persone che ricevono il reddito sono difficilmente occupabili e privi di esperienza lavorativa alle spalle talché al 90% permarranno nell’attuale stato di disoccupazione.  I dati attestano che il reddito di cittadinanza è assistenza; primeggia per numero di percettori, infatti, il Sud: il 20% abita nelle province di Caserta e Napoli, dove si concentrano complessivamente quasi 703 mila beneficiari; a Roma sono 240.065, a Palermo 212.544, a Catania 169.250, a Milano 122.873, a Torino 104.638 ed a Bari 92.233.

E’ forte lo scompenso tra le somme stanziate per il reddito di cittadinanza e le altre somme spese dallo Stato per il lavoro (a fronte dei circa 27 miliardi di euro il totale del costo del reddito di cittadinanza, nel periodo 2019 – 2022, alle politiche attive per il lavoro sono destinate risorse per 9,7 miliardi. Di fatto il reddito di cittadinanza ha ostacolato la ricerca di lavoratori nei settori tradizionalmente legati alla stagionalità, il turismo, la ristorazione l’agricoltura, il terziario e l’industria legata alle commesse.

L’Italia investe poco nel futuro, nei giovani, nell’istruzione, nella formazione professionale, tecnica e universitaria, nella ricerca! Anche l’Agricoltura ha bisogno di un cambio di passo. La massa monetaria a disposizione, distratta da illusorie e fallimentari esperienze nate per illusoriamente eradicare la povertà (sic!), può essere investita tutta sul futuro dei lavoratori, giovani o meno giovani, comunque in cerca di occupazione, favorendo le donne in un percorso teso alla parità di genere.

Occorre mettere in rete le competenze pubbliche e private in materia di avviamento al lavoro; investire nella rete infrastrutturale tecnologica e sulle banche dati, mettendo in relazione sinergica i centri per l’impiego (che debbono tornare dalle Regioni allo Stato), le agenzie private, le associazioni di categoria (Agrijob per Confagricoltura), gli enti bilaterali sia nazionali che provinciali, istituzionalizzando il “referral”, che non si riduce alla banale “raccomandazione”, puntando sulla formazione professionale,  durante il contratto  o perso  il lavoro , e  sulla riprofilazione degli addetti agricoli mediante il “reskilling”.

 Gli agricoltori hanno già immaginato il prossimo futuro, in specie nell’ambito della contrattazione collettiva, anche provinciale)  puntando sulla formazione dei lavoratori, individuando nel settore le aree multifunzionali, quelle specialistiche delle produzione animale e della produzione vegetale, puntando sulla nuova qualificazione del personale per accrescere il livello professionale,  le conoscenze teorico – pratiche degli addetti alla conduzione di macchine operatrici (sempre più complesse),  degli operai presenti nelle aziende lattiero / casearie, negli allevamenti, i dipendenti della filiera del vino, ai lavoratori delle aziende orto – floro – frutticole, valorizzando le metodologie colturali  innovative (in serra, al coperto, senza terra, fungicole, idroponiche, acquacoltura).

Nell’ambito della riforma del reddito di cittadinanza si operi con decisione, si cancelli questo obbrobrio, inutile e costoso, si punti tutto sulle persone, sul lavoro e sulla potenzialità del personale, si riqualifichi l’assistenza ai bisognosi guardando al lavoro e non alla malintesa socialità assistenzialista; con i miliardi recuperati dal reddito di cittadinanza si creerà lavoro buono e  utile,  si consentirà anche agli agricoltori di mantenere il primato italiano delle eccellenze, consolidando i già soddisfacenti risultati occupazionali della corrente pur difficile  annata agraria.

(M. Mazzanti)