Le aziende suinicole sono chiamate a recintare gli allevamenti per innalzare il grado di biosicurezza. Come evidenziato nei giorni scorsi si è rilevata una difformità nelle prescrizioni disposte dalle aziende sanitarie, a livello delle diverse regioni e persino a livello di province, che vedono nel piacentino l’indicazione di recintare completamente i siti, anche lungo i muri perimetrali delle strutture. “Come Confagricoltura – sottolinea Giovanna Parmigiani, allevatrice suinicola e componente di giunta nazionale di Confagricoltura – abbiamo presentato richieste di chiarimento, ma non possiamo ritenere sufficiente la nota del Ministero della salute (Ufficio Sanità animale e gestione operativa del Centro nazionale di lotta ed emergenza contro le malattie animali e unità centrale di crisi – DGSAF) inviata alla Regione Emilia Romagna il 18 marzo in cui si dice che condizione per non procedere alla recinzione lungo i muri è che non vi siano aperture, vista la necessità della presenza di finestre e prese di areazione nei muri degli edifici dove sono ricoverati gli animali a garanzia della corretta illuminazione ed areazione dei locali nel rispetto anche del benessere degli animali. Per questo motivo abbiamo immediatamente presentato, a firma del nostro direttore generale, una serie di proposte di dettaglio che consentano la presenza di finestre ad una determinata altezza e altri importanti elementi discriminatori. Ma il punto – rimarca Parmigiani – è che le aziende sono chiamate a intervenire, oltretutto in una situazione non chiara, sostenendo spese enormi, quando per anni non si è fatta l’unica cosa indispensabile: un efficace piano di depopolamento dei cinghiali. Nel limbo decisionale, quantomeno le imprese presenteranno opposizione alle prescrizioni insostenibili e difformi”.
Confagricoltura Piacenza torna inoltre a ribadire quanto già indicato.
“La Repubblica Ceca ha è uno dei pochissimi stati europei che è riuscito a eradicare la Psa – avevano detto Giovanna Parmigiani e il presidente di Confagricoltura Piacenza Filippo Gasparini – lo ha fatto coinvolgendo i cacciatori e applicando in tempi brevi delle misure chiare, la cui attuazione è stata incentivata anche da compensi economici. Come Confagricoltura Piacenza chiediamo che si mutui da quel caso di successo e si agisca. Non abbiamo neppure bisogno di inventare nulla di nuovo. Copiamo il loro piano!”.
Questa la roadmap delle misure che hanno portato all’eradicazione in Repubblica Ceca: il 21 giungo 2017 è stata trovata la prima carcassa; cinque giorni dopo è stata definita la zona infetta, è stato imposto il divieto di caccia ed è iniziata la ricerca attiva delle carcasse (per ogni ritrovamento il compenso era di 5000 corone, circa 200€); dopo 2 settimane è stata definita un’area a caccia intensiva che circondava tutta la zona infetta, in cui sono stati abbattuti più di 22 mila cinghiali (anche qui per incentivare gli abbattimenti c’era un compenso di 40 € a capo); verso la fine di luglio la zona infetta è stata divisa in zona ad alto rischio e zona a basso rischio. La zona a più alto rischio (57 km quadrati), chiamata Core Zone, è stata recintata con reti elettrificate e repellenti odorosi e nella zona a basso rischio sono iniziati gli abbattimenti (il compenso andava da 150 ai 300€ a capo abbattuto). Ad agosto 2017 è iniziato il trappolaggio nella Core Zone; a settembre sono iniziati gli abbattimenti anche nella Core Zone; a ottobre sono stati coinvolti i tiratori dei reparti speciali per velocizzare gli abbattimenti (sempre nella Core Zone); a marzo 2018 sono state recuperate le ultime carcasse nella zona infetta. Non si è registrato nessun caso di positività al di fuori della zona infetta dove sono stati abbattuti più di 3758 cinghiali e recuperate 444 carcasse. Nell’aprile 2019 il Paese è stato dichiarato libero dalla PSA.
“In Italia dobbiamo riuscire a fare altrettanto – propongono Parmigiani e Gasparini – e smetterla col dire che la situazione è sotto controllo, o ancor peggio che è risolvibile con prescrizioni in capo alle aziende, mentre gli allevamenti suinicoli sono sotto scacco con una spada di Damocle che è da un lato sanitaria, dall’altra commerciale e gli agricoltori vedono i raccolti devastati perché i cinghiali sono dello stato, ma i danni li pagano le imprese”.