Sulla situazione Psa nel piacentino prende parola il presidente di Confagricoltura Piacenza Filippo Gasparini che vive e denuncia da molti anni il dramma del proliferare incontrollato dei cinghiali riscontrato in prima persona anche nei propri campi.
“Il comunicato in cui qualche giorno fa Confagricoltura Emilia-Romagna denunciava che siamo sostanzialmente fermi aveva suscitato una dura risposta dell’Ausl in cui si dichiarava che ci si stava attrezzando e che erano gli Atc a dover far pervenire più carcasse. Apprendo che nella cabina di regia riunitasi ieri è stata riferita la volontà di istituire altri centri di raccolta per le carcasse. Non mi pare dunque che nel frattempo sia cambiato molto. Attualmente è operativo solo il centro di raccolta di Bobbio decisamente decentrato e ancora in gravi difficoltà organizzative. Tra le righe emerge anche che inizialmente si era valutato di destinare le cabine di caccia a centri di raccolta, ma poi non è stato possibile in quanto non sarebbero stati rispettati i requisiti di biosicurezza. A Piacenza, la linea di guerra contro la Psa, siamo ancora ai “faremo” mentre a Parma, con una situazione emergenziale di molto inferiore, hanno già a disposizione più di 15 celle di stoccaggio. Ora, anche a livello di operatività regionale c’è una discrasia che non si spiega”. I suinicoltori di Confagricoltura Piacenza hanno a più livelli ribadito persino la disponibilità a dare un contributo per sostenere i costi delle attrezzature per un depopolamento radicale e rapido che da troppo tempo si chiede, pur non volendosi sostituire alle Istituzioni che sono tenute ad affrontare la pandemia trovando le opportune soluzioni. Da parte degli allevatori di Confagricoltura Piacenza è stata avanzata, parimenti, la proposta di prevedere, contribuendo direttamente, una premialità per i cacciatori chiamati in prima persona a fermare l’avanzata dell’epidemia con gli abbattimenti.
“Mancano i centri di stoccaggio, forse per un errore iniziale di valutazione, ma mancano anche i sacchi in cui rinchiudere le carcasse – evidenzia Gasparini – non è certo se i fondi regionali, due milioni di euro, non utilizzati per le recinzioni possono essere dirottati immediatamente per la fornitura delle attrezzature indispensabili agli stoccaggi. Il sistema ci vende il controllo del benessere e l’ambientalismo per biosicurezza con obblighi immediati in azienda che nulla c’entrano con la biosicurezza del sistema e poi quando è ora di proteggere gli animali dalle epidemie, mettendo in campo azioni di biosicurezza vere, ci fermiamo perché non ci sono i fondi. La solerzia con cui gli organi di controllo sono obbligati dalla legge a controllare il rispetto del benessere animale non quaglia con la lentezza con cui si reagisce a questa epidemia. Davvero non capiamo a cosa sia dovuto questo immobilismo.
È un grado di incertezza incomprensibile, se si pensa che il sistema è in grado di sostenere i costi di controllo allucinanti per la presenza di un veterinario ufficiale nelle macellazioni d’urgenza e per tutt’un’altra serie di adempimenti con cui si perseguitano gli allevatori secondo quanto previsto dal sistema Classyfarm, che al sistema non servono a niente e poi di fronte ad un’emergenza pandemica di questo quello livello, la si continua a gestire con tempi ordinari. Aiutateci voi a non pensare che sia un complotto – tuona il presidente degli agricoltori piacentini – e una strategia di distruzione del sistema allevatoriale.