L’ALLARME ACUSTICO DEI VENTILATORI RENDERA’ IL GRANA PIU’ PERFORMANTE?

Gasparini sul Crenba: il benessere animale è già un prerequisito, chi paga le certificazioni?

 

Gli allevamenti del Consorzio Tutela Grana Padano dovranno applicare il disciplinare del CReNBA (Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale del Ministero della Salute) andando nella gran parte dei casi molto oltre il rispetto dei requisiti minimi previsti dalla norma. “C’è un’ipocrisia di fondo che sta intaccando una delle nostre principali risorse, che è l’agricoltura – sottolinea Filippo Gasparini, presidente di Confagricoltura Piacenza -. Da un lato, le politiche economiche e industriali vengono determinate dai sondaggi che rilevano la richiesta di sempre maggiori garanzie da parte dei consumatori, quindi alla produzione sono richiesti sforzi in tal senso. Dall’altro, le analisi di mercato vedono consumatori sempre più targettizzati, generalmente infedeli ed estremamente attenti ai prezzi. Si va dunque verso un mercato che pone in capo ai produttori l’obbligo di fornire garanzie e standard, prima facoltativi, senza che ne siano indennizzati i costi”. Nell’inchiesta condotta dall’Eurobarometro (2015) sull’attitudine dei cittadini europei in materia di benessere animale, è emerso che più di un terzo dei cittadini dell’UE (35%) non è disposto a pagare di più per prodotti provenienti da sistemi di produzione rispettosi del benessere degli animali e una piccola percentuale ha affermato spontaneamente (4%) che dipendeva dal prezzo del prodotto.  Un altro 35% dei cittadini dell’Ue ha dichiarato di essere disposto a pagare fino al 5% in più e solo il 16% è disposto a pagare dal 6% al 10% in più. Percentuali molto ridotte di europei sono disposti a pagare oltre l’11% più.   “Il tentativo di differenziare i prodotti porta la trasformazione ad assecondare i desiderata degli acquirenti, che corrispondono al plus solo una marginalità parziale, incassata dalla distribuzione, e il produttore non ne ricava alcun beneficio, non solo – rimarca Gasparini – ma vede sempre più erosi gli esigui margini che la sua attività sviluppa, perché sostanzialmente tali garanzie sono solo costi”. Va detto, sottolinea Confagricoltura Piacenza, che tutti gli allevatori rispettano quanto previsto dalle norme cogenti sul benessere animale e sono sottoposti regolarmente a controlli.  “Il benessere animale è ciò che l’allevatore eticamente e storicamente mette in pratica ogni giorno nel lavoro di allevamento. Non foss‘altro perché nessun imprenditore prende a calci i suoi mezzi di produzione. Siamo per questo critici persino sull’impostazione della normativa cogente, frutto di una corrente ambientalista europea che è passata sopra alla tradizione buiatrica italiana grazie alla quale invece se si è compiuto quello che possiamo chiamare un miracolo economico: ossia riuscire a garantire prodotti salubri, eccellenti dal punto di vista organolettico, a prezzi bassi. Lo si è fatto portando in stalla tecnologie e competenze altissimi. A livello locale ricordiamo la cattedra piacentina, poi diventata istituto. La sconfitta della brucellosi e della tbc: queste sì sono state veramente operazioni compiute nell’interesse del consumatore. Le tecniche produttive devono essere lasciate in capo all’imprenditore che se ne assume i rischi e sostiene i costi della propria attività”. Talvolta alcune pratiche, sottolinea Confagricoltura Piacenza, agli occhi dei consumatori più emotivi, sembrano apparentemente ledere il benessere dell’animale, invece lo tutelano: come ad esempio la gestione dei vitelli appena nati in box singoli, pratica che, tra l’altro, ha anche analogie con le culle dei bambini.  Più in generale, pur essendo comprensibile che alcuni abbiano determinate sensibilità, non è legittimo che ciò arrivi ad influenzare le scelte imprenditoriali, tanto è vero che le norme europee considerano l’allevatore Osa (Operatore di Sicurezza Alimentare) attribuendogli in autocontrollo la responsabilità delle sue scelte. “Mi preme sottolineare – prosegue l’allevatore piacentino –  che i tanto sbandierati contratti di filiera, allorché prevedono che i processi siano implementati a livello di filiera, con la stessa logica dovrebbero annoverare di distribuire costi e vantaggi. Se si vuole rischiare di aggiungere più qualità in un prodotto, che questa sia retribuita o il rischio sia in capo a chi assume le decisioni. Sono considerazioni lapalissiane che non sarebbe neppure necessario tornare ad esternare se la gestione della Dop del Grana Padano fosse coerente con i principi delle norme europee istitutive delle Dop, che indicano la centralità del ruolo dei produttori anziché dei trasformatori. E’ anche una questione etica: la Dop deve essere di tutti, sicuramente degli allevatori”. Secondo il presidente di Confagricoltura Piacenza sarebbe, inoltre, opportuno lavorare per agevolare le aziende nell’ottenere gli strumenti necessari per raggiungere più facilmente gli elevati standard che garantiscono: “più volte abbiamo evidenziato che manca una rete di buiatri che supporti gli allevatori in stalla nell’analisi di processo”.  Si è perso il contatto con la realtà e quindi la consapevolezza di come si producono gli alimenti. Tutti i consumatori dovrebbero poter capire che “la mucca che pascola libera” non assicura benessere e non è sostenibile dal punto di vista ambientale. “E’ venuta meno la dignità dell’allevatore – conclude Gasparini -. E’ esemplificativo che il protocollo di benessere preveda un allarme acustico quando in stalla si bloccano i ventilatori. Le nostre aziende sono sottoposte a monitoraggio continuo, per di più se si verifica un evento di quel tipo è spesso connesso a problemi ben più complessi. Davvero un cicalino su un ventilatore migliorerà le performance di vendita del Padano? Il plus certificativo è stato deliberato da una catena del comando che non considera gli allevatori nella fase decisionale e che per loro non genera valore. Non ultimo, i fatti dimostrano che ciò che conta per la promozione di un prodotto non sono le certificazioni di benessere, ma gli accordi di libero scambio, come il Ceta, la capacità individuale degli imprenditori e l’unicità di prodotti ottenuti da un sapere millenario a cui si è aggiunta la tecnologia dei processi. Confagricoltura Piacenza difenderà sempre a spada tratta la dignità degli agricoltori e degli allevatori, anche se è un faticoso esercizio che sempre più in pochi svolgono”.

 

Filippo Gasparini – presidente di Confagricoltura Piacenza