La rinaturazione del Po è un progetto devastante: indispensabile una riprogrammazione

Confagricoltura ha inviato ai Ministeri competenti una nota che evidenzia le criticità rispetto al progetto di Rinaturazione del Po approvato e finanziato dal PNRR con 357 milioni. Si tratta di un progetto importante che coinvolge 13 province e 183 comuni ubicati nelle aree 37 aree di intervento previsto più 7 nel delta del Po e che avrebbe richiesto un coinvolgimento costante e continuo con i territori e le rappresentanze. Il risultato è un testo blindato, fortemente impositivo, che non lascia alcuna flessibilità alle parti coinvolte.

“Evidenziamo che il maxi-intervento di rinaturazione del Po non rappresenta né per il territorio, né per l’agricoltura, né per l’economia locale un’opportunità e ci preme sottolinearne i possibili nefasti impatti prima che vengano validati i progetti operativi” – afferma perentoriamente il presidente di Confagricoltura Piacenza, Filippo Gasparini.

“Il rimboschimento e la piantumazione di nuove piante e fiori non considera l’attività di presidio costante che gli agricoltori hanno svolto sino ad oggi nelle diverse aree in conduzione e neppure il valore dell’attività produttiva insistente su dette aree, che verrebbero di fatto abbandonate” – rimarca la componente di Giunta Nazionale con delega alle tematiche ambientali, la piacentina Giovanna Parmigiani.

“Riteniamo che una bacinizzazione del fiume possa essere una risposta più corretta e moderna non solo per le attività agricole, ma anche per esigenze del territorio e dell’ambiente” – concordano all’unisono i due dirigenti di Confagricoltura Piacenza.

“La rinaturazione non considera, a nostro parere, le mutate condizioni della portata del fiume, la conformazione delle aree, ben nota invece agli agricoltori che le custodiscono coltivandole, e non valuta le mutate condizioni climatiche che unitamente ai terreni sabbiosi stanno facendo registrare la moria della vegetazione spontanea laddove già presente. La proposta sottostima, a nostro avviso, l’impatto del potenziale infestante delle specie vegetali alloctone presenti nei boschi il cui contenimento non potrà avvenire in modo efficace, se terminati gli interventi di rinaturazione non ci sarà il presidio costate che gli agricoltori hanno garantito sino ad oggi” – prosegue Gasparini.

Esemplificativa è un’area segnalata da aziende associate per la conduzione della quale non è stata rinnovata la concessione ed è stata lasciata allo stato naturale: in due anni si è trasformata in un groviglio di piante morte in parte per la siccità in parte per l’azione delle specie infestanti.

“I fondi del Pnrr in questo progetto comportano a una rinuncia della capacità produttiva sia di colture, quali pomodoro da industria e mais, sia di piante coltivate per la filiera del legno. Sorprende inoltre la contraddizione che ha visto l’assegnazione di fondi per il rilancio della pioppicoltura nelle zone golenali ed ora interviene bloccandone la coltivazione – riflette Parmigiani -. Ne risulterà danneggiata anche la regimazione delle acque, piena infatti le coltivazioni dei pioppeti garantiscono, durante le piene, un rallentamento della corrente lasciando però defluire l’acqua mentre i territori non gestiti, presto si riempiranno di materiale vegetale e boscaglia: pericoloso sbarramento naturale delle acque. Le aree di fatto abbandonate a sé stesse non saranno inoltre, una volta defluite le acque di piena, riportate all’ordine”.

Gli enti preposti al rilascio delle autorizzazioni di coltivazione, oltre a rinunciare ai proventi di concessioni e affitti, dovranno sobbarcarsi spese di manutenzione e non saranno comunque in grado di garantire un presidio continuativo come quello dell’agricoltore. In generale, l’insieme dei progetti sembra non considerare come anche un’iniziale opera di rinaturazione del fiume non possa di fatto riportare il corso d’acqua a quando si muoveva libero in una pianura alluvionale, a meno di non considerare come alloctono e infestate l’essere umano stesso, in quanto i nostri territori sono stati antropizzati da millenni.

“Il progetto non porta sviluppo, contraddice la spinta produttiva verso la sovranità alimentare indebolendo filiere strategiche a sottrae terreni coltivati con la consapevolezza della delicatezza dell’ecosistema fluviale, svilisce e penalizza il lavoro portato avanti dagli agricoltori lungo l’asta del fiume. Gli ettari in questione rappresentano non solo capacità economica delle imprese, ma ricchezza per le filiere produttive e per l’economia con impiego di forza lavoro – rimarca Gasparini -. A livello locale, denunciamo la mancata gestione dei nostri torrenti che rischiano di esondare alla prima pioggia e ne chiediamo la pulizia degli alvei e il consolidamento degli argini, invece di vietare ai mezzi di transitarvi sopra. Un buon padre di famiglia rinuncia al superfluo se si tratta di curare i propri figli. I fiumi escono e uccidono. I fondi andavano destinati a queste opere di reale gestione territoriale e non a una sostanziale dismissione del presidio delle acque”.

“Chiediamo ragionevolmente – concludono Gasparini e Parmigiani – di rivedere il progetto in un’ottica completamente diversa destinando i fondi ad una più efficace gestione e regimazione del fiume stesso che possa consentire la convivenza tra ambiente e attività agricola”.