Crisi Latte: Confagricoltura Piacenza chiede di affrontare i problemi strutturali

Confagricoltura Piacenza cerca di fare il punto sulla situazione del settore lattiero caseario. Il 30 settembre si è tenuto il tavolo ministeriale nell’ambito del quale si sperava di poter individuare una soluzione di emergenza. “Premesso che un aiuto emergenziale di adeguata portata al settore sarebbe di grande importanza – sottolineano Filippo Gasparini presidente di Confagricoltura Piacenza e Alfredo Lucchini presidente della sezione di Prodotto lattiero-casearia dell’Associazione – abbiamo un comparto con molteplici prezzi di riferimento in cui la miriade di singoli imprenditori si muove in modo disaggregato. Ciò rende molto difficile poter riscontrare l’efficacia dell’aiuto. I prezzi vengono stabiliti in contratti che si rinnovano ogni tre mesi circa, per cui anche un aiuto sul prezzo verrebbe riassorbito nella contrattazione successiva. Del resto, qualsiasi aiuto sul prezzo viene assorbito, come il contributo Pac è stato riassorbito dal prezzo del latte e gli aiuti per l’acquisto delle attrezzature sono stati riassorbili dal rincaro dei listini delle medesime favorendo gli industriali”. Secondo i due allevatori, dirigenti di Confagricoltura Piacenza, il problema è il meccanismo di formazione del prezzo, frutto di una situazione storica di rapporti e di non gestione dei quantitativi.

“Il problema non viene dagli incrementi produttivi, ma da come vengono gestiti. Importiamo in formaggi e derivati del latte 72 milioni di latte equivalente, significa che ancora che siamo un sistema aperto e ben lontani dall’autosufficienza assoluta. Se poi considerassimo le vere potenzialità delle nostre Dop in termini di export, non basterebbe tutto il latte che produciamo”. Invece, la consueta nota di aggiornamento mensile del Consorzio di tutela del Grana Padano segnala, per settembre, una produzione del +4,96%. A settembre 2020 la produzione era calata del 3,22% rispetto all’anno precedente: la situazione complessiva si mantiene dunque stabile eppure la nota conclude con l’invito “è bene che i caseifici mantengano il trend produttivo in essere e vendano il latte in esubero”.

“Un aumento dell’1% rispetto a tre anni fa – commentano Gasparini e Lucchini – è un quantitativo che non dovrebbe mettere in crisi il sistema, portando oltretutto un ente non commerciale a dare indicazioni di tipo economico.  Se l’antitrust non ha trovato ammissibile la proposta di accordo quadro presentata dalla Regione Puglia perché mancavano le Op, come può trovare ammissibile il dumping che di fatto sta facendo il Consorzio del Grana con il latte conferibile alla filiera della dop?” – chiedono Gasparini e Lucchini. “Apprendiamo dai giornali che il Consorzio sta valutando di mettere in vendita nuove quote onerose, non è forse questa l’occasione per contemplare un maggior protagonismo degli allevatori?” Il piacentino è connotato da due grandi filiere agricole: quella del latte e quella del pomodoro da industria. Nella seconda il sistema è organizzato in Op che coordinandosi riescono a gestire tutto il prodotto dell’areale e questo fa sì che, al netto delle criticità contingenti di ciascuna campagna, il comparto abbia un suo equilibrio, si riesca programmare la produzione e che nella contrattazione la parte agricola abbia più potere contrattuale, al contrario di quanto avviene nel lattiero-caseario.

“Nel lattiero caseario, inoltre, si rilevano azioni scoordinate – aggiungono i due allevatori – al tavolo congiunto al ministero è seguito un altro appuntamento a livello di regione Lombardia nel quale pare si sia detto di stabilire un indennizzo, ma non sono state affrontate le problematiche strutturali né il semplice “chi paga, come quando e perché” e soprattutto, il fatto che si può imporre un prezzo ma non l’obbligo di comprare”. Secondo Confagricoltura Piacenza il sistema non consente a tutte le aziende di avere pari trattamento: alcune soffrono di non poter entrare nel circuito delle Dop, pur avendone l’indirizzo, e non per incapacità, ma per le anomalie del sistema, per applicazione distorta delle normative sulle dop che dovrebbero tutelare i produttori di un territorio. “Per queste aziende – ribadiscono Gasparini e Lucchini – non c’è contributo o intervento spot che tenga per riequilibrare il prezzo di un prodotto venduto per anni sottocosto. O si risolve il problema strutturalmente, sapendo che le regole usate oggi sono sbagliate, o non lo si risolve. Questi disequilibri sono generati dal fatto che il lattiero-caseario ha un sistema di Op debole, non in grado di mappare il latte prodotto e gestirlo uniformemente. È il dilemma del coltivatore che un tempo si studiava in economia agraria: non sa cosa fa il vicino e non riesce a programmare. Se si organizza l’offerta e si esce dalla produzione di commodity agganciando la produzione di latte alla distintività della Dop, facendo dunque filiera con la trasformazione, nel Grana come già accade nel Parmigiano, allora ci sono margini. Sappiamo che con la caratterizzazione della Dop abbiamo i margini distintivi per fare export e in generale per aumentare le quote di mercato. Prova ne sono i due milioni di forme di similari commercializzare all’anno in Italia che si stanno comportando sia dal punto di vista alimentare, sia commerciale, come apprezzati sostituti del Grana senza che il formaggio dop ne risenta. I piani produttivi non hanno ragione d’essere se non c’è crisi di mercato – concludono i due dirigenti di Confagricoltura Piacenza – Alla luce di quanto esposto, come minimo, serve una revisione del piano che abbia come obiettivo la sua progressiva dismissione e arrivi alla sua sostituzione con la costituzione dell’interprofessione, con ciò intendiamo lo strumento che consente di programmare la produzione a partire dalla produzione del latte”.