Relativamente al tema dei controlli in azienda con impianti di videosorveglianza e sistemi tecnologici ed informatici, si è stabilizzato nell’ultimo decennio un quadro normativo e giuresprudenziale secondo cui è possibile l’utilizzabilità delle immagini raccolte in azienda dalle telecamere o dei dati tecnologicamente acquisiti con specifici sistemi di controllo anche nell’ambito di un procedimento disciplinare aperto, da parte del datore di lavoro, nei confronti di un collaboratore.
La materia ha subito negli anni modifiche di sostanza; l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (legge n. 300/1970) è stato modificato dall’art. 23 del D.Lgs. n. 151/2015 (Jobs Act) in attuazione di uno specifico criterio di delega (previsto ex art. 1, c. 7, lett. f della legge n. 183/2014); l’art. 23 – sopprimendo il comma 1 del previgente art. 4 che vietava in assoluto “l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” – rivede infatti la disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica tenendo conto sia delle esigenze produttive ed organizzative dell’impresa che la necessaria ed imprescindibile tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore.
Il Jobs Act modifica l’assetto previgente da un lato confermando il principio secondo cui gli strumenti di controllo si possono utilizzare a condizione che sul punto sia stato raggiunto un accordo sindacale ovvero alternativamente l’azienda si sia dotata di una specifica autorizzazione amministrativa in sede I.T.L .; dall’altro lato la norma esonera i datori di lavoro dalla procedura autorizzativa nei casi di utilizzo degli strumenti indispensabili per l’attività lavorativa (smartphone, PC, tablet, rilevatori di entrata e di uscita e simili). Infatti, il nuovo articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, come novellato dall’art. 23 del d.lgs. n. 151/2015, prevede che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere installati solo per il perseguimento di finalità lecite (esigenze organizzative e produttive, sicurezza del lavoro, tutela del patrimonio aziendale) e solo dopo l’ottenimento di una specifica autorizzazione all’installazione medesima.
L’accordo sindacale dovrà essere stipulato aziendalmente con la rappresentanza sindacale unitaria (RSU) o con le rappresentanze sindacali aziendali (RSA); per le aziende con unità produttive situate in province differenti oppure in più regioni, gli accordi si dovranno perfezionare con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Anche secondo la riforma Renzi, qualora non sia raggiunto l’accordo con le predette rappresentanze sindacali, la norma confermando il sistema previgente prevede il ruolo sussidiario dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro, che può sopperire al mancato accordo con le rappresentanze sindacali concedendo direttamente l’autorizzazione; anche in questo caso si prevede che per le aziende operanti su territori diversi sia competente il Ministero del lavoro.
Come detto, è esonerata dal percorso autorizzativo (in sede sindacale o ministeriale) l’installazione degli strumenti che servono al dipendente per eseguire la prestazione lavorativa e di quelli necessari per registrare gli accessi e le presenze.
Il vero focus della nuova norma è però allocato in altra locuzione, il Jobs Act infatti introduce la possibilità di utilizzare “a tutti i fini connessi ai rapporti di lavoro” le informazioni acquisite attraverso i dispositivi di controllo a distanza (articolo 4, c.3, dello Statuto dei lavoratori, come novellato dall’art. 23 del d.lgs. n.151/2015).
Queste informazioni potranno essere utilizzate, a fronte di adeguata informazione ai lavoratori delle modalità d’uso degli strumenti loro affidati e delle modalità di effettuazione dei controlli in ottemperanza a quanto previsto dalle disposizioni in materia di protezione dei dati personali (privacy).
In sostanza, secondo la nuova normativa, tali informazioni sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro anche di carattere disciplinare.
Con recente pronuncia (Ordinanza 8375/2023) la Corte di Cassazione conferma come il sistema di videosorveglianza può essere utilizzato per comprovare l’inadempimento disciplinare del dipendente.
La stessa ordinanza (relativa ad un caso occorso ante Jobs Act) conferma peraltro che il ricorso alle registrazioni debba essere rispettoso delle garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori, oltre che delle esigenze organizzative e produttive e della sicurezza sul lavoro.
La raccolta di riprese con sistemi di videosorveglianza è ammessa ad esempio per esigenze di sicurezza quando le telecamere sono orientate verso spazi “accessibili anche a personale non dipendente e non deputati ad accogliere postazioni di lavoro”.
Sui controlli difensivi, ammessi anche nel previgete regime, ed avuto riguardo all’utilizzo dei devices aziendali, si segnala la sentenza 22 settembre 2021, n. 25732 con la quale la Corte di Cassazione si è espressa sulla legittimità del controllo dei dati informatici svolti dal datore di lavoro sugli strumenti assegnati al dipendente (pc, tablet, cellulari e simili) e sull’uso di tali dati a fini disciplinari, tenendo conto dell’equilibrio dei diritti in campo bilanciando gli interessi delle parti ex art. 4 della l. n. 300 del 1970, come novellato nel 2015, in relazione stretta al d.lgs. n. 196 del 2003 e s.m.i (legge sulla privacy).
La giurisprudenza ha in sostanza definito diverse tipologie di controlli (solitamente effettuati mediante controlli tecnologici), alcuni che riguardano tutti indistintamente i dipendenti, nell’ambito della loro prestazione, e cioè i “controlli a difesa del patrimonio aziendale” – controlli che si dovranno svolgere nel perimetro normativo di cui all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori , e i “controlli difensivi in senso stretto”, volti ad accertare specifiche condotte illecite sussistenti in capo a determinati lavoratori.
La Cassazione reputa tali ultimi controlli legittimi (anche per i fini disciplinari) solamente se adottati ex post, dopo l’accertamento dei comportamenti illeciti del dipendente motivato da un fondato sospetto (a seguito del quale l’azienda abbia disposto i controlli tecnologici) di cui il datore dovrà fornire prova (sentenza Cass. n.18168/2023).
Relativamente all’uso dei vari devices aziendali è del tutto indispensabile quindi che il datore di lavoro fornisca ai lavoratori dipendenti una Policy illustrativa delle finalità dell’installazione dei sistemi di controllo, le loro caratteristiche, le modalità d’uso e di effettuazione dei controlli, le modalità e i tempi di conservazione dei dati e l’indicazione dei soggetti incaricati nonché delle sanzioni previste in capo ai dipendenti se trasgressori .
Art. 23 D.Lgs. n. 151/2015 (Jobs Act)
L’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300 è sostituito dal seguente:
«Art. 4 (Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo).
- Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo gli impianti e gli strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.».
(M. Mazzanti)