Con l’autunno si cambiano le abitudini e, dopo gli ozi estivi, torna di moda lo sciopero.
Le programmate astensioni dal lavoro possono causare disagi anche alle aziende agricole, non tanto per forme dirette di azione sindacale sul posto di lavoro, ma per le difficoltà sovente arrecate al sistema dei trasporti e della logistica, che possono essere di impedimento all’ordinario svolgimento delle attività aziendali.
Vediamo in sintesi il quadro regolatorio del diritto di sciopero.
In Italia lo sciopero è concepito come diritto soggettivo, in capo al lavoratore dipendente, garantito costituzionalmente dall’art. 40, secondo cui “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”, leggi che per la dura opposizione sindacale – analoga a quella tenuta contro l’art. 39 della Costituzione – mai sono state emanate, se non per la regolamentazione rispetto ai servizi pubblici essenziali (Legge n. 146/1990).
La giurisprudenza e la dottrina si sono espresse in numerose occasioni in ordine al “diritto” di sciopero, stabilendo alcuni principi granitici: lo sciopero è un diritto individuale che si esercita collettivamente e, in quanto diritto, non genera inadempimento contrattuale in capo al dipendente. In sostanza, lo sciopero è un diritto “potestativo”, non può avere rilevanza sotto il profilo disciplinare né può determinare la risoluzione del rapporto di lavoro.
Il datore di lavoro non ha alcun ruolo risultando l’azienda soggetto passivo ed in stato di rassegnata soggezione.
La legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) stabilisce (art. 30) in materia di “repressione della condotta antisindacale” che nel caso in cui
“il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale, nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il pretore (oggi Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro) del luogo ove è posto in essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti”.
Lo sciopero, in astratto, consiste nella astensione dal lavoro; non è necessaria la formale convocazione da parte di una organizzazione sindacale ma alla base della agitazione deve sussistere un atto collettivo ascrivibile ai lavoratori, i quali concordino l’azione a tutela di un interesse comune; in assenza di ciò la astensione dal servizio non può essere qualificata come sciopero.
La fantasia “sindacale” ha nel tempo portato, oltre alla tradizionale astensione collettiva, totale e continuativa dal lavoro, ad enucleare numerose forme di sciopero.
Trattasi (in specie per l’industria) delle c.d. forme “articolate”, a “singhiozzo” (alternanza tra brevi fasi di lavoro e fasi di astensione dallo stesso), a “scacchiera” (in un’azienda con più reparti alcuni lavorano ed altri no); da evidenziare anche lo sciopero “bianco” (il lavoratore è presente in azienda ma presta servizio con modalità tali da rallentare il lavoro e creare disagio).
Nel recente passato, ed anche oggi, si è diffuso lo sciopero “politico” e di “solidarietà” (vedi i recenti scioperi pro – pal).
Quale forma di “mobilitazione” è anche frequente lo sciopero sullo straordinario: i dipendenti si attengono al solo orario ordinario, rifiutando prestazioni di lavoro straordinario.
In casi particolari lo sciopero può essere ritenuto illegittimo, costituendo anche reato; è il caso dello sciopero teso a sovvertire l’ordine costituzionale o le prerogative democratiche.
Per la giurisprudenza lo sciopero deve garantire gli altri diritti costituzionali di pari grado, è vietato il picchettaggio – se violento – ed atto ad impedire ai lavoratori (non scioperanti) l’accesso al lavoro; è vietato nel contesto dell’astensione dal lavoro il sabotaggio degli impianti come l’occupazione dell’azienda, il blocco delle merci ed il boicottaggio.
Nei servizi pubblici essenziali (es. trasporti, sanità) la legge n. 146/90 prevede gravami procedurali (obbligo di preavviso di almeno 10 giorni) e sanzioni per l’inottemperanza.
L’art. 2 della legge prevede, in mancanza della tempestiva proclamazione (od adesione) dello sciopero, la sospensione dei permessi sindacali retribuiti o di contributi sindacali sulle retribuzioni per la durata dell’astensione, l’esclusione dalle trattative dei sindacati non ottemperanti; possibile poi la precettazione degli scioperati per i casi nei quali si paventi la lesione o il pregiudizio di diritti costituzionalmente tutelati.
Il provvedimento amministrativo relativo può prevedere:
- il differimento dello sciopero;
- la riduzione della sua durata;
- l’imposizione dei livelli minimi di servizio;
- l’unificazione di scioperi proclamati separatamente
L’inosservanza da parte del lavoratore delle disposizioni contenute nell’ordinanza della pubblica amministrazione è sanzionata in via pecuniaria, per ogni giorno di mancata ottemperanza, da un minimo di euro 500 ad un massimo di euro 1000; le organizzazioni sindacali dei lavoratori sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.500 a euro 50.000 per ogni giorno.
Lo sciopero genera, come visto, la legittima astensione dal servizio con sospensione degli obblighi contrattuali, sia per il lavoratore che per il datore di lavoro e si traduce nella mancata corresponsione – per le ore di astensione – dello stipendio.
In pratica il dipendente non riceve la retribuzione, sono ridotti proporzionatamente gli istituti a maturazione differita (ferie, permessi, tredicesima e quattordicesima), parimenti non natura l’accantonamento del TFR.
(M. Mazzanti)