Il diritto agrario codificato affonda le proprie radici nel primo codice civile adottato in Italia, nel 1865, allora Regno d’Italia (Regio Decreto 25 giugno 1865), codice che sostituiva le leggi ed i codici civili vigenti separatamente nei vari stati preunitari italiani. Il codice c.d. “Pisanelli”, era sostanzialmente mutuato dal codice civile “Napoleon”, ed era rappresentativo di una codificazione, posta principalmente a tutela della proprietà; ancora oggi, ad esempio, il testo normativo che definisce la proprietà, nel codice civile, è sostanzialmente la traduzione dell’articolo specifico del codice civile napoleonico (vedasi art. 436 codice 1865, art. 544 codice napoleonico, art. 832 c.c. vigente).
Nel campo agrario il codice del 1865 definiva i contratti di affitto, mezzadria, soccida come modi di godimento della cosa da parte del proprietario terriero. Nel codice del 1942 (quello oggi in vigore) la visione è più “contrattuale” ed imprenditoriale; vi è maggiore autonomia ed equilibrio tra le parti stipulanti, i vari negozi agrari sono focalizzati ed utili alla conduzione dei terreni e degli allevamenti. Il diritto agrario modifica il proprio tratto negli anni ’60, attraverso una notevole produzione normativa speciale, che tende a sostituirsi in pieno alle regole codicistiche in una diversa prospettiva politico – sociale, tesa a favorire la nascita della piccola proprietà coltivatrice, trasformando i normali coltivatori (mezzadri, affittuari, soccidari) in imprenditori e proprietari del terreno, con ciò continuando lo sviluppo delle linee strategiche adottate da Alcide De Gasperi negli anni’50, attraverso la “Riforma Agraria” (legge Sila, legge Stralcio), che comportarono l’espropriazione di quasi 750.000 ettari di terreno (in particolare nelle zone vallive, Delta Padano, Fucino, Maremma, Puglia, Lucania, Calabria, Sicilia e Sardegna).
Da ricordare le fonti costituzionali poste a limitazione della libertà di intrapresa (art. 41 Cost.), quali l’art. 42 Cost., in materia di proprietà e l’art. 44 Cost., in tema di proprietà agraria.
Il disegno di riforma si è completato con la legge n. 203/1982, che ha definitivamente acclarato la matrice agraria principale del contratto di affitto rispetto alle altre forme in precedenza vigenti, conservando altresì la soccida quale contratto utilizzabile seppur con sostanziali limitazioni rispetto al passato.
Nell’ impianto codicistico del 1942 i contratti agrari tipici – che sono derogabili salvo quanto previsto agli artt. 1634 e 1654 c.c. e consentono la applicazione degli usi ex art. 2187 c.c., si distinguevano in:
A) CONTRATTI LOCATIZI (Affitto di fondi rustici ex art. 1628 c.c.)
B) CONTRATTI ASSOCIATIVI (mezzadria ex art. 2141 c.c., colonia parziaria ex art. 2164 c.c., soccida semplice ex art. 2170 c.c., soccida parziaria con bestiame ex art. 2182 c.c. e soccida con conferimento pascolo ex art. 2186 c.c.).
Il processo di tipizzazione dei contratti agrari aveva conosciuto un forte sviluppo con la Legge 15 settembre 1964, n. 756, che enucleava alcuni princìpi, cardine ed innovativi, quali il divieto di stipula di nuove mezzadrie, la condirezione della impresa tra concedente e mezzadro, la proroga dei contratti di affitto a coltivatore diretto.
Con tali divieti di stipula di contratti agrari non tipizzati si disponeva la riconducibilità, per analogia e prevalenza, di tutte le contrattualistiche ad alcuni tipi legali:
- Contratti agrari con effetti obbligatori per terreni (affitto, mezzadria, colonia parziaria, contratti misti tipizzati);
- Contratti con effetti reali (enfiteusi e simili);
- Rapporti di lavoro;
- Contratti associativi di allevamento (soccida).
In particolare, con la Legge 11 febbraio 1971, n. 11, si ulteriormente limitavano le possibilità negoziali attraverso la riconduzione dei contratti misti ad affitto, il privilegio per l’affitto a coltivatore diretto, definendo altresì per i contratti di soccida con conferimento di pascolo e per gli altri contratti di pascolo la trasformabilità di tali contratti in affitto, a domanda del concessionario.
Il processo di riforma si è concluso sostanzialmente con la Legge 3 maggio 1982, n. 203 che, con l’art. 25, disponeva la conversione dei contratti di soccida con conferimento di pascolo e la soccida parziaria con conferimento di pascolo in affitto.
In pratica, oggi è possibile unicamente la definizione, inter partes, di contratti di soccida semplice ex art. 2171 c.c., ovvero parziaria ex art. 2182 c.c.
Secondo la dottrina prevalente, possono essere stipulati contratti di soccida con conferimento di pascolo o di terreno con le forma derogatorie di cui all’art. 45 l. 203/82.
La stipula ex art. 45 L. 203/82 è sempre consigliabile qualora le parti vogliano derogare a norma interpretative inderogabili ex art. 58 L. 203/82. Proprio in ordine alla soccida è opportuno dare conto di un recente sviluppo normativo.
Con recente circolare (n. 94 del 21 maggio 2025) l’NPS ha formalizzato nuove linee interpretative avuto riguardo alla soccida chiarendo numerose criticità. Come detto, innanzi la soccida è un contratto agrario associativo oggi sviluppatosi, in Italia, in particolare nel comparto degli allevamenti in particolare avicoli: due le parti il soccidante e il soccidario; costoro ad esempio si associano per allevare una certa quantità di pollame con lo scopo di suddividere, a consuntivo, l’eventuale l’accrescimento degli animali come degli altri prodotti ed utili che derivino anche per le attività connesse e complementari.
La circolare INPS si sofferma in specie sulla “soccida monetizzata”; in tale tipologia contrattuale in alternativa alla divisione in natura degli accrescimenti tra le parti si conviene la liquidazione in denaro della quota spettante al soccidario a fronte della dazione al soccidante dell’intero accrescimento degli animali allevati.
La circolare INPS nella nota in commento prende atto dei chiarimenti del Ministero delle Finanze (circ. n. 32/1973 e n. 48/1995) e dell’Agenzia delle Entrate (interpello n. 134/2024), in ordine alla natura del passaggio materiale degli animali allevati in soccida tra le due parti (soccidante e soccidario) in particolare nelle fasi costitutive ed estintive del contratto di soccida; si ricorda che dal punto di vista fiscale la cessione dedotta, nel caso di soccida monetizzata, non è da valutarsi come un atto traslativo della proprietà nemmeno quando la somma riconosciuta al soccidario è corrisposta a titolo di assegnazione della quota-parte risultante dalla valorizzazione e vendita dell’accrescimento del bestiame.
Conformemente l’INPS, in merito all’inquadramento contributivo del soccidante, formula nella predetta circolare direttive più coerenti ponendo fine al forte contenzioso, sviluppatosi negli anni, che si poggiava sulla interpretazione secondo la quale la monetizzazione dell’accrescimento configurasse, in concreto, una forma di acquisto dal mercato e non una forma di ripartizione del prodotto, perdendo il soccidante la natura agricola delle cattività connesse, ad es. di prima trasformazione e vendita, venendo meno, in capo al soccidante, la prevalenza di prodotto acquisito sul mercato rispetto a quello di produzione aziendale. La odierna circolare INPS inequivocabilmente chiarisce che la presa in carico, da parte del soccidante, del prodotto accresciuto non può essere qualificato come acquisto sul mercato, anche nel caso della soccida monetizzata essendo ciò “irrilevante al fine della valutazione della sussistenza o permanenza del requisito di prevalenza”.
Con tale precisazione viene pertanto meno il contenzioso oggi in essere; la circolare INPS infatti conferisce il mandato alle strutture periferiche di provvedere al riesame dei carichi vertenziali in essere provvedendo, in via di autotutela, all’annullamento od alla riforma dei provvedimenti assunti in materia di inquadramento o in tema di recupero contributivo.
(M. Mazzanti)