Importante pronuncia della cassazione in ordine al patto di prova. Come noto, secondo l’art. 2096 del cod.civ., l’assunzione del prestatore di lavoro può prevedere un periodo di prova che deve risultare da atto scritto. In tale ambito sia l’azienda che il dipendente sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova. Durante il periodo di prova ciascuna delle parti puo’ recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d’indennita’. Se la prova e’ stabilita per un tempo minimo necessario, la facolta’ di recesso non puo’ esercitarsi prima della scadenza del termine.
Esaurito il periodo di prova, l’assunzione diviene definitiva. Nel tempo, e sotto innumerevoli profili, sulla prova si è determinata una fiorente giurisprudenza.
Da ultimo si intende commentare una pronunzia della Cassazione del 29 agosto 2025 che ha stabilito una nuova ed importante conseguenza relativamente ad un patto di prova privo dei requisiti di legittimità.
Da ricordare che, per il settore agricolo, la contrattualistica collettiva di settore ha definito il patto di prova per tutte le figure del lavoro dipendente:
- per gli operai a tempo indeterminato il periodo di prova è pari 26 giorni;
- per le figure specializzate: 20 giorni per i qualificati, 14 giorni per i lavoratori comuni;
- per il personale a tempo determinato, la prova è limitata a due giorni semprechè l’assunzione sia prevista per un periodo superiore a trenta giorni (art. 15 CCNL 23 maggio 2022);
- per gli impiegati agricoli (art. 9 CCNL 7 luglio 2021) la prova è invece pari a 2 mesi per il personale inquadrato nella 4, 5 e 6 categoria, pari a 4 mesi per i quadri e per i dipendenti inquadrati nella 1, 2 e 3 categoria.;
- per il personale dirigente (CCNL 21 maggio 2025) l’art. 6 prevede il periodo di prova nel massimo di 6 mesi.
La Cassazione interviene oggi sulla impugnata sentenza della Corte di Appello di Venezia con la quale si era stabilita la nullità del patto di prova in quanto lo stesso, pur contrattualizzato per iscritto tra le parti, non descriveva, neppure in forma minimale, le mansioni oggetto della prova, non essendo sufficiente per i giudice del secondo grado, il richiamo alla posizione di capo servizio propria del dipendente interessato, ed ancora poiché il patto conteneva sostanzialmente il mero rinvio alla declaratoria contrattuale, ritenuto non sufficiente; nel contesto peraltro, secondo la Corte di Appello, nessun rilievo potevano assumere le corrispondenze intercorse tra le parti (a mezzo mail) prima della stipulazione del contratto di lavoro, non idonee a far desumere gli elementi essenziali delle specifiche mansioni cui sarebbe stato addetto il dipendente; parimenti secondo la Corte di Appello di Venezia le conseguenze sanzionatorie, in caso di nullità del contenuto del patto di prova per la sua indeterminatezza, andavano individuate in quelle di insussistenza del fatto.
La pronunzia della Cassazione in commento contiene una interessante disamina della questione del patto di prova analizzata nel tempo sotto numerosi profili richiamando sentenze anche remote – ad esempio la Corte ha sancito (Cass. n. 21996/2023) che per la valutazione di specificità del patto di prova occorre considerare la non necessità di descrizione in dettaglio delle singole mansioni in presenza di svolgimento di attività di contenuto intellettuale, (Cass. n. 17591 del 2014), la possibilità di rinvio per relationem al contratto collettivo applicabile (Cass. n. 9597 del 2017, Cass. n. 11722 del 2009) e, ai fini dell’interpretazione del contratto, l’utilizzo di elementi extratestuali ricavabili dalla condotta delle parti, quali il pregresso bagaglio lavorativo esplicitato nel curriculum, ritenuto consentito (Cass. n. 553/2022, Cass. n. 24560/2016, Cass. n. 16181/2017) – valutando i principi testè riassunti, unitamente alle conseguenze sulla nullità genetica del patto di prova, tenendo in considerazione la sentenza della Corte Costituzionale n. 128 del 2024 con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 3 co. 2 del D.lgs. n. 23 del 2015 nella parte in cui non prevede che la reintegra attenuata trovi applicazione anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia direttamente dimostrata, in giudizio, l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro.
La odierna sentenza della Cassazione, sulla base della pronunzia della Corte Costituzionale (sentenza n. 128 del 2024) sancisce invece che il recesso disposto dall’azienda datrice di lavoro per il mancato superamento di un patto di prova “geneticamente nullo” (cioè che non esiste) qualifica una ipotesi di licenziamento privo di giustificazione per insussistenza del fatto materiale, perché manca l’esistenza del fatto posto a fondamento della ragione giustificatrice del patto, traducendosi il recesso in un licenziamento ad nutum perché svincolato totalmente dal fatto (insussistente) posto alla base di esso, con il riconoscimento, quindi, al dipendente allontanato della tutela reintegratoria (che comporta il ritorno del lavoratore in azienda) con il risarcimento economico che sarà da remunerare nel limite delle 12 mensilità (salva la facoltà del dipendente di richiedere l’indennità sostitutiva per 15 mensilità, di cui alla legge Fornero, in alternativa al rientro sul posto di lavoro). In sostanza se non esiste un valido patto di prova, viene a mancare la necessaria “giustificatezza” del licenziamento che resta perciò un recesso privo di giustificazione.
Ovvie le conseguenze per i datori di lavoro: il patto di prova magari inserito nel contratto individuale di assunzione, per essere valido ed azionabile senza incorrere in contenziosi rilevanti e relative spese o costi, dovrà contenere una più accurata, specifica e precisa, quando non circostanziata, descrizione dei compiti concreti propri della mansione assegnata al dipendente appena assunto e oggetto quindi della prova, compiti che saranno appunto scrutinati e valutati al fine di decretare – nei termini contrattuali – il supero od il non supero della prova, con la conseguente trasformazione del rapporto o con la risoluzione dello stesso.
(M. Mazzanti)