COLLEGATO LAVORO (LEGGE 203/2024) – nota del MINISTERO DEL LAVORO

Con propria circolare, del 27 marzo 2025 (n. 6), il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha illustrato le principali novità del Collegato Lavoro e vigenti dal 12/01/2025 (legge 13 dicembre 2024 n. 203 relativa a ” Disposizioni in materia di lavoro “, pubblicata sulla GU n. 303 del 28-12-2024). Sul collegato lavoro peraltro era già intervenuto L’Ispettorato Nazionale del Lavoro – INL che, con la nota n. 9740/2024, aveva  fornito una prima interpretazione sistematica delle varie modifiche intervenute.

Dimissioni del dipendente in via di fatto

Come già osservato per il settore agricolo ha un rilievo, meritevole di approfondimento, quanto previsto dall’art. 19, della legge in commento (in tema di risoluzione del rapporto di lavoro) con cui si modifica l’articolo 26 del D.Lgs n . 14 settembre 2015, n. 151 aggiungendo un comma 7 bis). Con la nuova versione dell’articolato “In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”.

L’art. 19 in sintesi disciplina le ipotesi di “dimissioni di fatto” o “per fatti concludenti”, per le quali non si applicherà più la disciplina delle dimissioni on-line.

Nel settore agricolo, in particolare, era (ed è ancora) vigente la consuetudine secondo la quale il personale dipendente presenta (sovente) anche oralmente le proprie dimissioni rifiutandosi, anche a richieste esplicita del datore, di procedere con l’invio delle dimissioni in via telematica al Centro per l’impiego, come per legge, costringendo conseguentemente l’azienda ad instaurare, al fine di chiudere il rapporto esauritosi per volontà del dipendente, procedure disciplinari (per assenza ingiustificata o simili).

La nuova norma dovrebbe risolvere questa pratica ingiusta tenuta dal dipendente, con qualifica operaia, per non perdere le provvidenze collegate alla cessazione del rapporto ed in specie alla indennità di disoccupazione speciale o, negli altri settori non agricoli, la NASPI, settori che pure sono gravati in caso di licenziamento dal contributo previsto al riguardo.

La nuova procedura prevede la attiva partecipazione dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL); nell’ipotesi di assenza non giustificata e prolungata del dipendente il datore di lavoro ha infatti l’onere di comunicare all’Ispettorato l’assenza che si è prolungata oltre il termine previsto dal CCNL (aziendalmente vigente ed applicato) oppure (se non previsto) se l’assenza si protrae per oltre 15 giorni. La circolare in commento illustra le questioni relative a tale termine rilasciando una interpretazione alquanto discutibile: secondo il Ministero la durata dell’assenza generatrice delle dimissioni per fatti concludenti, “in mancanza di specifica previsione nel CCNL applicato al rapporto di lavoro, debba essere superiore a quindici giorni”.

In pratica, e contrariamente a quello che prevede testualmente la norma, pare in modo inequivoco, secondo la circolare ministeriale il termine dei 15 giorni avrebbe la connotazione di termine minimo e derogabile contrattualmente solo in favore del dipendente, con cio’ depotenziandosi completamente la ratio originaria della modifica legislativa.  Nel caso in cui il CCNL applicato in azienda preveda un termine inferiore, secondo il Ministero ci si dovrà riferire al termine legale minimo dei 15 giorni. Si rammenta che nel settore agricolo il vigente CCNL, per gli operai agricoli e florovivaisti (art. 75), prevede come in caso di assenza ingiustificata per 3 giorni si determini la giusta causa di licenziamento; per i quadri e gli impiegati agricoli l’attuale CCNL non prevede alcun termine.

Sostanzialmente, secondo il Ministero, le regole contrattuali difformi conservano valenza ai fini disciplinari ex art. 7 Legge 300/1970) ma non ai fini delle dimissioni per fatti concludenti. La circolare ministeriale prevede poi che per il calcolo dei giorni di assenza ingiustificata ci si dovrà rapportare ai giorni di calendario se non diversamente previsto dal CCNL. La citata comunicazione inerente l’assenza ingiustificata dovrà essere trasmessa dal datore di lavoro alla sede territoriale dell’Ispettorato tenendo conto del luogo della prestazione. Come di prassi la comunicazione obbligatoria di cessazione del rapporto di lavoro (modello UNILAV) deve essere inviata telematicamente entro 5 giorni dalla comunicazione di assenza all’ITL.

La circolare precisa poi che gli effetti della cessazione del rapporto saranno determinati dalla data riportata nel modello UNILAV. Opportunamente la circolare specifica che l’azienda datrice per il periodo di assenza ingiustificata del lavoratore non è obbligata né in termini retributivi né relativamente al versamento contributivo potendo il datore trattenere, dalle competenze di fine rapporto, il mancato preavviso come contrattualmente previsto.

Un ultimo importante chiarimento riguarda la eventuale comunicazione del lavoratore delle proprie dimissioni, in via telematica; secondo la circolare la sopravvenuta presentazione delle dimissioni telematiche genera l’inefficacia delle dimissioni per fatti concludenti. A parere di chi scrive sarebbe opportuno un ripensamento della posizione ministeriale poichè la norma, nata per ovviare ad un problema gestorio non indifferente in capo alle aziende (l’incertezza circa la disponibilità del lavoratore rispetto alla prestazione dedotta in contratto) genera nel minimo  una zona franca di 15 giorni a tutto danno dell’organizzazione del lavoro e della  genuinità, correttezza e buona fede dei rapporti tra le parti, elementi tutti connaturati inscindibilmente al lavoro.

 

Durata del periodo di prova

L’art. 13 prevede regole in materia di durata del periodo di prova nei rapporti a tempo determinato stabilendosi che il periodo di prova è dovuto in misura proporzionale alla durata del contratto ed alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego; la modifica introdotta prevede, fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, che la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro e che in ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi.

In sostanza con il “collegato lavoro” si prevede espressamente la durata del periodo di prova nei rapporti a termine, in assenza di previsione più favorevole da parte della contrattazione collettiva.

Relativamente al settore agricolo si rammenta che per agli operai agricoli (O.T.Det) la contrattazione collettiva prevede all’art. 15 del CCNL che “l’operaio assunto con rapporto di lavoro a tempo determinato superiore a trenta giorni, è soggetto a un periodo di prova di due giorni lavorativi”;  il CCNL per i quadri e gli impiegati agricoli (art. 9 CCNL) al riguardo non prevede distinzioni tra rapporti a tempo determinato o  a tempo indeterminato, in sostanza al personale impiegatizio  si applicherà la nuova regola.

Per quanto attiene la durata del periodo di prova la circolare ministeriale precisa che i limiti massimi non possono essere derogati in sede di contrattazione collettiva; da ultimo si osserva che nei rapporti la cui durata è prevista in oltre 12 mesi (sempre salve le regole contrattuali più favorevoli) il periodo di prova è calcolato moltiplicando un giorno di prestazione per ogni 15 giorni di calendario, anche oltre la durata massima di 30 giorni come detto sancita per i rapporti  di durata inferiore a dodici mesi.

 

(M. Mazzanti)