Ferie dirigenti

Ai sensi dell’art. 2  del vigente CCNL per i dirigenti dell’agricoltura, in tema di definizione della figura del dirigente, sono considerati dirigenti i dipendenti che – investiti di tutti o di una parte importante dei poteri del datore di lavoro (sia persona fisica che giuridica)  su tutta l’azienda o su parte di essa, con struttura e funzioni autonome – abbiano  poteri di iniziativa e siano dotati di ampie facoltà discrezionali, nel campo tecnico e/o in quello amministrativo, in virtù di una procura (espressa o tacita) o di delibera da parte degli organi statutari nel caso di persona giuridica e rispondono dell’andamento dell’azienda al proprio datore di lavoro.

In sintesi, estrema il dirigente è l’alter ego del titolare dell’azienda agricola; questi (art. 7 CCNL) è tenuto ad assolvere i propri compiti secondo il mandato ricevuto ed è responsabile, nel contesto, dell’attività produttiva e/o amministrativa affidatagli, dovendo prestare la propria collaborazione per favorire il buon andamento generale, l’incremento produttivo dell’azienda perseguendo fini economici.

Il dirigente agricolo non può assumere incarichi incompatibili con le funzioni esplicate nell’azienda così come allo stesso è interdetto di svolgere qualsivoglia attività contrastante o in concorrenza con gli interessi dell’azienda da cui dipende, anche se non retribuita; nel caso in cui il dirigente intendesse svolgere un’attività al di fuori dei compiti propri del rapporto in essere lo stesso dovrà preventivamente ottenere l’autorizzazione dal suo datore di lavoro.

Per le specificità della figura il dirigente “apicale” gode di una piena autonomia nell’organizzazione dei tempi e dei modi della propria attività, differenziandosi degli altri lavoratori dipendenti, senza subire alcun sostanziale controllo da parte del datore di lavoro; in tale contesto in ragione della posizione “di vertice” ricoperta il dirigente dell’azienda ha normalmente il potere di attribuirsi le ferie in piena autonomia, senza alcun condizionamento od intervento da parte datoriale. Il riposo annuale, che è pari a giorni 30 (ex art. 13 del CCNL vigente), solitamente è concordato con il datore di lavoro, è normalmente continuativo, ma per esigenze aziendali può essere frazionato; secondo il CCNL se le esigenze di servizio non consentono al dirigente  il godimento del periodo di ferie (che può essere definito entro e non oltre i primi tre mesi dell’anno successivo) si prevede, come anche nel caso della risoluzione del rapporto di lavoro,  la corresponsione al  lavoratore di una indennità sostitutiva per i giorni di ferie non goduti.

Nella prassi quotidiana se il dirigente non provvede a programmare le proprie ferie non fruendo del riposo annuale (giorni 30) potrà ritenersi  che il  mancato godimento sia la conseguenza di una scelta del dipendente del tutto autonoma, escludendosi l’inadempimento da parte del datore ed il possibile ambito risarcitorio; in tale senso si è espressa, in passato, la giurisprudenza secondo la quale «il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, non lo eserciti e non fruisca del periodo di riposo annuale, non ha diritto all’indennità sostitutiva a meno che non provi di non avere potuto fruire del riposo a causa di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive» (Cass. 31509/2023, Cass. 27971/2018; Cass. 23697/2017; Cass. 4920/2016), non essendo peraltro sufficiente, onde provare la colpa della parte datrice, dimostrare la programmazione delle assenze feriali secondo un criterio di compatibilità con le esigenze aziendali.

L’orientamento della Cassazione, in tema di godimento delle ferie del dirigente, è per inciso significativamente mutato nel maggio scorso; con propria ordinanza (n.  22 maggio 2025 n. 13691) la Corte di cassazione ha cambiato opinione: il dirigente ha diritto all’indennità per ferie non godute se prova che la mancata fruizione è dipesa da esigenze aziendali eccezionali; mentre spetta al datore di lavoro dimostrare di aver consentito l’effettivo esercizio del diritto alle ferie.

Come detto – viceversa e nonostante le disposizioni di origine comunitaria (art. 7, comma 2, della Dir. 93/104/CE, poi confluita nella Direttiva 2003/88/CE – e ripreso dall’art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2003) l’orientamento precedente era sostanzialmente più favorevole all’azienda; il datore di lavoro nel caso eventualmente doveva corrispondere unicamente il pagamento dell’indennità sostituiva delle ferie maturate nell’anno in corso, al contrario venivano considerate “perdute” le ferie non fruite negli anni precedenti.

La giurisprudenza della Cassazione (fino al maggio scorso) riteneva infatti che il Dirigente avesse il diritto a percepire l’indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute per le annualità antecedenti alla risoluzione del rapporto solamente nel caso in cui questi non fosse dotato di autonomia decisionale nella determinazione delle ferie ovvero nel caso in cui pur avendo tale potere, non avesse potuto esercitarlo a causa di esigenze aziendali indifferibili (Cass. sez. unite 9146/2009; Cass. 13953/2009; Cass. 23697/2017; Cass. 4920/2016).

Un piccolo sostanziale scostamento si era in verità disvelato con la Sentenza n. 18140 del 6 giugno 2022 con la quale la Cassazione stabiliva come il potere del dirigente di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, pur se accompagnato da obblighi previsti dalla contrattazione collettiva di comunicazione al datore di lavoro della pianificazione delle attività e dei riposi, non comportasse la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, di vedersi corrispondere l’indennità sostitutiva delle ferie “accumulate” poiché non fruite  negli anni sempreché il datore di lavoro non  avesse, nell’ esercizio dei doveri di vigilanza ed indirizzo, formalmente invitato nel corso del rapporto di lavoro il dirigente a fruire delle ferie e  di avere predisposto una organizzazione del lavoro e di servizio (al quale il dirigente era addetto) tali da non impedire il godimento delle ferie.

Con l’ordinanza n. 13691 del 22 maggio 2025, la Corte di cassazione ha nuovamente argomentato sul tema, aderendo più decisamente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ed affermando, in sostanza, il principio secondo cui le ferie annuali retribuite costituiscono un diritto fondamentale anche del dirigente.

L’onere della prova è stato sostanzialmente attribuito tutto al datore di lavoro che dovrà dimostrare di aver consentito al dipendente, ponendolo nella effettiva condizione di fatto, di godere delle ferie comportando ciò l’obbligo di informarlo, in maniera adeguata e tempestiva, del fatto che le ferie non fruite sarebbero andate perdute.

In concreto, quindi,  la perdita del diritto alle ferie (e della speculare  indennità sostitutiva) può verificarsi unicamente allorquando il datore di lavoro fornisca la prova di avere  invitato il dirigente a fruirne, avvisandolo delle conseguenze della mancata fruizione; parallelamente l’indennità per ferie non godute può essere negata al dirigente unicamente qualora  la mancata fruizione delle ferie sia frutto di colpevole inerzia da parte del dirigente il quale non abbia goduto del riposo feriale ancorché adeguatamente informato e posto, dalla datrice,  nelle condizioni di esercitare il diritto alle ferie.

 

(M. Mazzanti)