Latte, momento positivo, ma costi alle stelle e paure per le evoluzioni delle normative

Il comparto del latte sta vivendo un momento tutto sommato positivo perché le quotazioni del latte degli ultimi mesi vedono un mercato tonico grazie alla carenza di prodotto d’importazione, anche se persistono le pesanti differenze in termini di quotazioni tra le diverse filiere di conferimento.  Alfredo Lucchini, vicepresidente di Confagricoltura Piacenza e presidente della sezione di prodotto Lattiero-casearia dell’Associazione, a livello sia regionale che provinciale, fa il punto.

“È vero – dice Alfredo Lucchini – che le quotazioni del latte sono ai massimi storici (mediamente nei primi mesi del 2025 sempre sopra ai 50 cent/litro), purtroppo questo non consente comunque agli imprenditori agricoli di programmare sul lungo periodo. Un primo elemento di incertezza è costituito dalla variabilità dei mercati dei fattori produttivi. La situazione geopolitica internazionale ci pone in una condizione di non poter fare previsioni sull’andamento dei prezzi dei cereali e neppure sul costo del gasolio”. L’andamento climatico, con i periodi di caldo estremo, sta già determinando problemi in campo per questioni sia di rese che per i costi energetici delle irrigazioni. Meno gravi, invece, i cali produttivi per lo stress da caldo, attenuati grazie gli ingenti investimenti per migliorare il comfort di operatori e animali in stalla (il cui esercizio però impatta comunque pesantemente sui costi). “Si deve anche tener conto del fatto che i costi di produzione, rispetto al 2022si, sono stabilizzati verso l’alto con un sensibile incremento. Venendo al mercato del latte – prosegue Lucchini – se dovessero permanere quotazioni molto alte, anche i nostri competitor potrebbero aumentare le produzioni, con un effetto negativo sulle quotazioni nazionali”.  Proprio in questi giorni si è aggiunta un’ulteriore preoccupazione: alcuni casi di positività alla Dermatite nodulare (LSD), prima in Sardegna poi in Lombardia. “È una malattia virale che colpisce principalmente i bovini, ma non è trasmissibile all’uomo neanche attraverso il consumo di carne o latte – spiega Lucchini – occorre dunque una pronta gestione con l’attivazione delle profilassi preventive per tutelare gli allevamenti. Più di tutto, proprio perché non si configura come un rischio né per l’uomo né per la salubrità dei prodotti, chiediamo la pronta attuazione delle azioni necessarie per evitare negativi impatti commerciali di origine speculativa”. “Non ultimo – prosegue il vicepresidente di Confagricoltura Piacenza – viviamo in un contesto sfavorevole dato dal continuo proliferare di norme e regolamenti, che si tramutano in ulteriori costi, elaborati da parte di una politica che non considera prioritarie le esigenze imprenditoriali degli agricoltori. In azienda è un continuo monitorare i più svariati aspetti, un esempio in ordine cronologico: gli esami ematologici per verificare che ai vitelli sia stato somministrato il colostro in adeguate quantità, quando non esiste allevatore competente che scientemente faccia stare male i propri capi. Ci preoccupa la revisione della direttiva nitrati perché temiamo che come sempre accade venga appesantita, per non parlare del rischio di non poter utilizzare l’urea sui campi del bacino padano per questioni legate alle norme sulla qualità dell’aria: un provvedimento che ci metterebbe in ginocchio”. Ad avviso di Confagricoltura Piacenza è necessario che la politica ponga la massima attenzione alle priorità delle aziende agricole, tenendo conto che sono queste a garantire la reale tutela ambientale in un modello sinergico che consente di produrre ottimizzando le risorse. Vincoli e impedimenti calati dall’alto senza una regia e senza considerare gli impatti sulla competitività dell’agricoltura rischiano di deprimere la capacità produttiva al punto da non poter poi più fornire le produzioni alimentari, che già oggi rispettano elevati standard a tutela e a vantaggio dei consumatori.   “Resta irrisolto un problema strutturale: le quotazioni del latte presentano una forbice troppo ampia dei prezzi tra le filiere a maggior valore aggiunto e quelle meno fortunate che non hanno margini per accogliere nuove norme e certificazioni volontarie come qualcosa di positivo, ma le subiscono solamente come costi che annullano la già risicata marginalità. Occorre un ritorno al pragmatismo – conclude Lucchini – che tenga conto delle priorità del mondo produttivo nei processi decisionali. Oggi la vita in azienda è complicata dalla messa a terra di una politica slegata dalle imprese, incurante del fatto che senza un cambio di passo non basteranno i prezzi alti per far fronte a tutte le difficoltà burocratiche, tecniche e normative. Con il rischio che in ultima analisi i problemi delle imprese si percuotano anche sui consumatori, perché un conseguente un calo delle produzioni di latte non potrà che impattare sui prezzi dei prodotti finiti al consumo”.