Casi di Afta epizootica in Slovacchia: massima allerta per gli allevamenti italiani

Il Chief Veterinary Officer slovacco ha confermato il 21 marzo la comparsa di tre focolai nel Paese, di cui uno ubicato nella zona di restrizione istituita per il focolaio in Ungheria.  Gli altri due focolai si trovano situati in territorio slovacco lungo il Danubio.  Di conseguenza, la Direzione Generale della Sanità Animale ha disposto il rintraccio di tutte le partite di animali sensibili all’afta provenienti dalla Slovacchia, negli ultimi 30 giorni, e il controllo su tutte le successive partite di tali animali provenienti da tutto il territorio slovacco. Saranno gli Uffici Veterinari per gli Adempimenti Comunitari, per il tramite dei Servizi Veterinari localmente competenti, a disporre su tali partite il sequestro nei luoghi di prima destinazione, con controlli clinici e di laboratorio. Austria- Non potendo escludere la possibilità di un’estensione dei focolai anche all’Austria, confinante sia con l’Ungheria che con la Slovacchia, gli UVAC predisporranno, per il tramite dei Servizi Veterinari localmente competenti, il sequestro nei luoghi di prima destinazione delle partite di animali aftoso-sensibili, provenienti dai Lander austriaci confinanti e l’esecuzione sulle stesse di controlli clinici e di laboratorio. La notizia dei nuovi focolai si inserisce in un quadro che sta andando via via aggravandosi. A gennaio erano stati registrati i primi casi in Germania.

“L’elevata morbilità della malattia ci pone in condizione di essere più che allarmati e di chiedere la massima attenzione da subito” – commenta Alfredo Lucchini presidente della sezione di prodotto lattiero-casearia e vicepresidente di Confagricoltura Piacenza.

L’afta epizootica è una malattia acuta, caratterizzata da uno stato febbrile e dalla comparsa di afte, lesioni vescicolari a carico delle mucose e della cute di animali ungulati artiodattili domestici (suini, bovini, bufalini, ovini, caprini) e selvatici (cinghiali, ruminanti selvatici, cervi, ecc). La morbilità può facilmente raggiungere il 100%, mentre la mortalità è normalmente inferiore al 5% Il virus, diffuso con il materiale proveniente da vescicole, secrezioni ed escrezioni (spruzzi di latte, saliva, scolo nasale), è in grado di persistere a lungo nell’ambiente, creando condizioni favorevoli alla trasmissione diretta per via aerogena e indiretta. Il contagio indiretto può avvenire in seguito a contatto con carcasse, organi, escrezioni di animali infetti, oggetti, animali contaminati, prodotti di origine animale, per inalazione di virus trasportato dal vento, attraverso interventi zooiatrici o per mezzo di animali portatori. A ciò vanno aggiunti i pascoli, le stalle, i recinti degli animali, i residui di alimenti, i carri ferroviari, le automobili, gli autocarri, ecc. Anche l’uomo può essere veicolo di contagio accudendo gli animali o manipolando materiale infetto. Dalla fine degli anni ’60, dopo l’avvio della vaccinazione obbligatoria antiaftosa, i casi di afta negli allevamenti italiani sono stati sempre più rari. in Italia l’ultima epizoozia da virus, introdotta probabilmente con bovini provenienti dalla Croazia si è verificata nel 1993. Va detto che in base all’esperienza accumulata, è possibile affermare che il rischio per la salute umana, come conseguenza del contatto diretto con animali infetti e dell’assunzione di alimenti contaminati, è praticamente nullo.

“La malattia è molto pericolosa per gli allevamenti – sottolinea Lucchini – che in caso di positività vengono svuotati con l’abbattimento massivo. Dobbiamo essere pronti, anche a distanza di anni in cui non c’è stato il bisogno, a mettere in campo da subito le procedure e i protocolli per schermare e proteggere il più possibile i nostri capi.  Chiediamo il massimo supporto delle autorità competenti, sia per la prevenzione e i controlli, sia nella gestione del rischio, con l’attivazione di eventuali fondi assicurativi, nella malaugurata ipotesi che sia necessario attivare misure di sostegno per gli allevamenti colpiti da danni diretti o indiretti”.   “Gli allevatori non possono affrontare l’emergenza da soli – evidenzia Lucchini – dobbiamo tutelare gli allevamenti per proteggere le filiere zootecniche e dei prodotti agroalimentari che da esse dipendono”. All’inizio degli anni ’90, fu sospesa la vaccinazione antiaftosa nell’Unione Europea, in quanto la manipolazione di virus in laboratorio e l’impiego dei vaccini non ben inattivati contribuivano al mantenimento del rischio di diffusione del virus aftoso. La strategia vaccinale fu sostituita dal tempestivo controllo dell’insorgenza dei focolai, con conseguente abbattimento e distruzione degli animali.  “Chiediamo che venga ripresa l’attività di ricerca vaccinale e più in generale un riorientamento delle attività di ricerca al fine di considerare queste priorità. Nella protezione degli animali si realizza il primo assunto del loro benessere, ancor prima che nel rispetto di norme legate al grado di comfort o di agio. La salubrità del patrimonio zootecnico protegge anche l’economia e la produttività dell’allevamento, oltre ad esercitare la tutela dell’ambiente. Si immagini l’impatto ambientale che può avere lo svuotamento di un allevamento con la distruzione dei capi. Nell’immediato, non vogliamo rivivere l’attendismo verificatosi con la Psa per i suini. Dobbiamo essere tutti pronti – conclude – a gestire il mutato contesto di diffusione virale mettendo in atto da subito tutte le misure di tutela per avere il massimo grado di protezione sistemica”.