Nata per riconvertire lo storico zuccherificio e dare una risposta alle aziende agricole che hanno dovuto abbandonare la coltura delle barbabietole, la centrale elettrica a biomasse di Finale Emilia rischia di allontanarsi dalla originale vocazione di servizio alle produzioni agricole del territorio che ne ha consentito la realizzazione.
E’ infatti di questi giorni la richiesta avanzata dall’attuale gestore di ridefinire la tipologia dei materiali utilizzati per la produzione di energia e di ampliare l’utilizzo di altri materiali non provenienti dal territorio, vanificando così lo scopo di tutela delle aziende e delle produzioni locali.
“La centrale di Finale Emilia è nata dalla riconversione dell’ex-zuccherificio smantellato a seguito della riforma del mercato dello zucchero comunitario del 2005/2006 ed ha rappresentato in questi anni una opportunità produttiva e di reddito per tante aziende agricole dell’area dell’ex bacino bieticolo, grazie alla coltivazione del sorgo da fibra ed alla valorizzazione dei sottoprodotti agricoli delle colture erbacee quali stocchi e paglia” afferma con preoccupazione il presidente di Confagricoltura Modena Gianfranco Corradi. “Purtroppo negli ultimi anni le anomalie climatiche che impattano sulle produzioni agricole, i nuovi orientamenti della politica agricola europea e i generalizzati ed incontrollati rialzi dei prezzi delle principali commodities sui mercati nazionali ed internazionali, sospinti dalla perdurante pandemia, stanno rendendo sempre più difficoltoso l’approvvigionamento di biomasse da destinare alla trasformazione energetica che si realizza nella centrale di Finale Emilia”.
Questi nuovi scenari stanno alimentando le recenti richieste di revisione della tipologia di materiali vegetali deputate alla valorizzazione energetica, avanzata dall’attuale gestore. Da qui il timore di Confagricoltura Modena che l’impianto realizzato per riconvertire lo storico zuccherificio si distacchi dalla originale vocazione di servizio alle aziende agricole del territorio e la richiesta dell’organizzazione stessa che qualsiasi decisione di modifica delle condizioni di fornitura delle biomasse, originariamente definite nell’accordo di filiera, debba necessariamente essere frutto di una concertazione con le controparti agricole.