«Pesante è il contraccolpo occupazionale della crisi frutticola in Emilia-Romagna. Il comparto chiude il 2020 con 4.4 milioni di giornate lavorative impiegate, ma ne ha bruciate 600.000 rispetto a 5 anni fa (fonte Cso). Una perdita di natura economica e sociale che ci obbliga a rivedere gli strumenti finora messi in atto». L’appello di Marcello Bonvicini, presidente di Confagricoltura Emilia Romagna, accende i riflettori sulle riforme strutturali sollecitate da tempo per ridare redditività alla frutticoltura. «Non c’è rilancio – avverte – senza l’ausilio della ricerca applicata alle varietà vegetali e senza la riforma della legge 102 sullo stato di calamità, in uno scenario profondamente mutato dagli effetti del cambiamento climatico e messo in pericolo dalla proliferazione di nuovi parassiti e dall’imprevedibilità degli eventi meteo estremi».
Da un lato, si evidenzia il ruolo principale ricoperto dal settore frutticolo regionale sotto il profilo della creazione di posti di lavoro come pure l’impatto sul tessuto socio-economico del territorio. Dall’altro, l’importante gap occupazionale registrato nell’ultimo quinquennio rivela le debolezze dell’intera filiera e la scarsa capacità competitiva del comparto che pur rappresentando il 13,5% dei valori produttivi del primario emiliano-romagnolo, non cessa di perdere pezzi.
Albano Bergami, presidente nazionale e regionale dei frutticoltori di Confagricoltura, sottolinea che «la drastica flessione della superficie frutticola dell’Emilia-Romagna – 19.000 ettari in meno in 15 anni – e il conseguente decremento della forza occupazionale, dimostrano quanto sia ormai improrogabile l’attuazione di un progetto di rilancio. Ricordiamo a tal proposito, che da qualche mese giace senza risposta sul Tavolo ortofrutticolo nazionale una proposta della nostra amministrazione regionale, condivisa all’unanimità dalla consulta agricola. Cosa stiamo aspettando?».
In questa fase di stallo, non può passare inosservato un altro dato negativo. «Flettono le esportazioni della filiera ortofrutticola italiana, fermandosi a 5 miliardi di euro di fatturato, contro i 15 miliardi di euro, in tendenziale crescita, della Spagna».